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A cura di / Ed. Roberto Bertoni.
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ISSN 2009-7123
25/08/08
Luciano Anceschi, GLI SPECCHI DELLA POESIA
[The initial of the critic's name in the mirror which reflects the world. (From the walls of Garbagna). Foto di Marzia Poerio]
Luciano Anceschi, GLI SPECCHI DELLA POESIA. Sottotitolo: RIFLESSIONE, POESIA, CRITICA. Torino, Einaudi, 1989
Sembra a chi qui scrive sempre attuale questo saggio di Anceschi, in cui l'autore, dichiaratamente, esprime idee maturate in parecchi anni di riflessione, scrittura, intervento culturale sia come docente, sia come critico militante.
Ciò che più si adatta agli interessi dello scrivente è soprattutto il senso di libertà che emerge dalla proposta di una critica fenomenologica che cerca di domandarsi di continuo qualcosa di nuovo sui testi, sondandone significati aperti. Si tratta, sostiene Anceschi, di esaminare "nella sua complessità la vita della poesia nel ricco intrico di relazioni in cui si definisce" (p. 5).
Più che riferire tutti i temi di questo libro, preme ricordare il concetto di poetica, che ben lontano dal porsi come momento di chiusura, rappresenta invece un approccio di apertura.
La ricostruzione della poetica degli scrittori consente una migliore comprensione dei testi: sia essa la "poetica esplicita", ovvero la riflessione della poesia su di sé tramite le varianti dei testi (il "lavorio continuo del poeta che vede e rivede se stesso, che si corregge, che si trasforma", p. 105), l'autoesegesi, l'interpretazione dei testi che si vengono componendo; sia essa "poetica implicita", ricavabile "da rilievi specifici sul testo, dal modo in cui il poeta si destreggia coi suoi strumenti" (p. 38) e tale da portare in luce le "strutture che dànno garanzia e unità a un operare che può solo fingere di essere improvvisato e occasionale" (p. 49).
Questo al di là della precettistica e della normativa stretta; al contrario in un ambito che Anceschi definisce "prammatico", basato sul fare, pur non essendo esente dal chiaro riferimento ai canoni: "la libertà dell'artista, quale sia il fine che egli si propone, sta [...] nel modo con cui si serve delle parole e le manipola; ed è ben chiaro che queste sue decisioni non mancano di avere il loro peso nel determinare o nel trasformare precetti e norme" (p. 55).
Si profila così una critica che viva nell'equilibrio, ovvero "che si organizzi in una specifica sistematicità non vincolante, aperta, mobile, che salvaguardi ogni verità particolare nel suo senso o che possiamo recuperare del suo senso, nel rispetto delle penetrazioni singolari che sono in ogni caso un contributo" (p. 111).
Alla base della comunicazione letteraria c'è il "messaggio". L'autore è per Anceschi colui che "traduce" il messaggio con gli "strumenti adatti". Il lettore è "colui che si procura gli strumenti adatti per ricevere il messaggio trascritto dall'autore" (p. 122).
Con Husserl, Valery e Leopardi a scorta di questo volume, siamo ben oltre una visione restrittiva, che si sente stranamente menzionare a volte riguardo Anceschi difensore esclusivo dalle avanguardie. Paiono invece profondi l'eredità e l'impegno assegnati a chi si occupa di letteratura:
"Nelle difficoltà in cui ci troviamo, come umanità, a vivere, continuiamo a scommettere sulla continuità del lavoro umano nel continuo movimento dei suoi significati. Tutto ciò ha qualche punto di riferimento non già con ciò che diciamo 'sistema' ma con ciò che diciamo 'sistematica'; non chiede definizioni irrevocabili, ma il rilievo di una rete di interrelazioni in un continuo ravvivarsi reciproco dei vari motivi tra loro e in rapporto all'imprevisto; e naturalmente ciò comporta il rispetto di un procedere inteso a metter tra parentesi tutti i significati che si presentano come assoluti, ed è tale che non si appaga mai, nel rispondere alle domande fondamentali, di risposte unilineari con le loro interessate e riduttive discriminazioni. [...]. Tutto si tiene, vive organico, e si scalda [...] negli attriti" (p. 189).
[Roberto Bertoni]