27/07/08

Renato Persòli, KATHAK


[Relief from a temple in Angkor. Foto di Marzia Poerio]


Sia consentito un ricordo personale.

Nel 1978, una collega di Sri Lanka, Jeeva (che letteralmente significa Anima) Pillai, ci invitò a uno spettacolo di Kathak che aveva contribuito a organizzare presso l’Università del New England ad Armidale in Australia.

Putroppo non ricordiamo il nome del danzatore, i cui movimenti, i campanelli ai piedi, le difficili posture, la rapidità, assieme alla musica da noi mai prima ascoltata, la variazione delle modalità emotive, tutto insomma contribuì a una reazione di adesione psicologica che ancora oggi non sappiamo spiegarci più di tanto. Jeeva ci disse che una delle funzioni di quel tipo di musica e di danza era proprio quella di partecipare con la parte emotiva di sé.

Quel ricordo è rimasto presente ma isolato fino a quando l’anno scorso non siamo andati a un Festival di danza indiana al teatro Sadler's Well di Londra. In quell'occasione, la dinamica della danza, il suo inizio con la voce modulata e con strumenti lenti, che a poco a poco si sveltiscono (come nei movimenti poniamo da Adagio a Mosso della musica classica occidentale); la voce che percuote rispondendosi con gli strumenti (come nel jazz, in parte, per proporre un'altra analogia un po' incongrua); e soprattutto i movimenti delle mani (numerosi, spesso svelti e ciascuno con un significato) e dei piedi (ritmici e in accordo con la musica) sono risultati più chiari con spiegazioni che illustravano anche, prima di ogni numero di danza, le storie religiose, mitiche o meno alle quali si riferivano. L’ammirazione per l’abilità va di pari passo con il gusto dell’ascolto. (Questa la nostra reazione personale, che va ammesso non siamo purtroppo riusciti a comunicare a molti degli amici ai quali ne abbiamo parlato con entusiasmo. Eppure è strano some siano spesso immediatamente ritenute compatibili coi gusti dei più in Occidente forme di danza simili al Kathak nello stile in qualche modo, se non negli scopi, per esempio il flamenco e persino il tip tap).

Kathak proviene, secondo un’enciclopedia consultata, dal sanscrito “kathā”, ovvero "storia", "racconto" [Encarta].

Una definizione del Kathak è la seguente:

“The Kathak dance form originated in the north [of India]. The influence of the Mughal tradition is evident in this dance form, and it has a distinct Hindu-Muslim texture. The word 'Kathak', derived from 'kathā', literally means 'storyteller'. Today, the maestros of this dance form include Birju Maharaj and Uma Sharma. Kathak has an exciting and entertaining quality with intricate footwork and rapid pirouettes being the dominant and most endearing features of this style. The costumes and themes of these dances are often similar to those in Mughal miniature paintings” [Dance].

Abbiamo navigato un po’ su U-tube. Per cominciare, forse questi tre video potrebbero interessare: Singh; Tarana; Kali.

Riguardo le riprese di Bollywood, resta insuperato, tra i film a noi noti, MUGHAL-E-AZHAM e in particolare la canzone guida di quella pellicola, PYAR KIYA THO DARNA KYA: Madhubala. Più recente, di buona qualità, la canzone MERE DHOLNA SUN, dal film BHOOLl BHULAIYA: Mere Dholna.

Una lezione di Kathak è a Birju Maharaj.


[Renato Persòli]