07/07/08

LA PORTA E COSTA

Filippo La Porta, DIARIO DI UN PATRIOTA PERPLESSO NEGLI USA, Roma, Edizioni e/o, 2008

Forse non c'è occasione più adatta che quella di un soggiorno di media durata, sei mesi, per sapersi guardare intorno con occhi vivaci, facendo confronti. E' la situazione ideale. Può significare contrarre alcune abitudini, ma senza che spuntino radici, senza che si trasformino in una sorta di necessità che impedisce di ricordare quando i gesti, i panorami, le parole intorno, erano diverse. Significa tenere sempre presente la distanza che separa dal ritorno, e cercare di fare tesoro di esperienze nuove da riutilizzare una volta tornati.

Filippo La Porta, reduce da un soggiorno, di sei mesi appunto, a New York, ha pubblicato questo agile libro "civile". Mettendo per una volta da parte l'analisi dei titoli e dei linguaggi, ha voluto portare a casa qualcosa di utile e provare a rinnovare, anche scanzonatamente ma fermamente, la coscienza di un'identità.

Dal di fuori si nota meglio: sembra che davvero i tempi siano maturi per uscire dal vezzo dell'autodenigrazione e riconoscere, quello che tutti al di fuori ci riconoscono, una sostanziale unità nei difetti, e nei pregi anche, fortunatamente. Forse di nuovo, come altre volte in tempi confusi o difficili, voci originali senza scadere nella predica e nella retorica, sapranno dirlo. La proposta di Filippo La Porta così la riassumiamo: l'importanza, forse la necessità, di un mito positivo che, con la guida di Primo Levi e dei Simpson, individua nell’"amore per la bellezza". Certo c'è bello e bello. La Divina Commedia non è una Lamborghini, la moda e il design non sono la cura e la genialità nel ridisegnare il paesaggio. E tuttavia il nostro amore per la bellezza, "resta pur sempre un'influente, suggestiva narrazione, non importa quanto ancora empiricamente fondata, diffusa nel mondo". Dipende solo da noi non disprezzare la nostra eredità, non dissiparla nella costruzione di parchi giochi per turisti di tutto il mondo.

Questo libro, semplice, agile, lo consiglio particolarmente ai giovani e giovanissimi. Non costerebbe loro un'eccessiva fatica leggerlo e forse alzerebbe loro il morale, ne trarrebbero spunti per letture e conversazioni. Potrebbe scalfire l'inclinazione a scimmiottare, a scimmiottarsi, sempre in maschera, sempre annoiati, a imporsi di fare quello che la società globale spietatamente suggerisce.

I più impegnati, perché ancora ce ne sono, avrebbero la conferma di non essere soli.

Quelli che quando viaggiano si sentono rimproverare un'identità in cui non si riconoscono, avrebbero qualche strumento in più per non inabissarsi nella vergogna.

[Piera Mattei]



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Francesco Costa, PRESTO TI SVEGLIERAI, Firenze, Salani , 2008

Può uno scrittore napoletano smettere di prendere Napoli a scenario delle sue trame? Oppure come la voce manterrà la cadenza ironica e orgogliosa di quella città, anche la fantasia continuerà a frequentare i luoghi dove, per la prima volta si accese? La Napoli di questo romanzo è Fuorigrotta, vera protagonista di questo romanzo, vero personaggio a tutto tondo, fondale di una black comedy, ritratto grottesco di una società.

Un contesto piccolo borghese: una coppia di professori di scuola media superiore, a cui per primi la cultura non dice proprio nulla. Come per molti, dietro il titolo, il ruolo presunto, ci sono il vuoto e la frustrazione. I valori sono sempre e solo il denaro e l'apparire. Anche se, la protagonista, Laura, ama i fiori e l'albero del suo giardino e, di certo, è una creatura buona. Potenzialmente, almeno agli inizi, una vittima del marito e della figlia e una creatura di cui prendersi gioco nell'ambiente di lavoro.
Napoli di Fuorigrotta è, secondo come soffia il vento, odore di monnezza o di corpi che si decompongono dal vicino cimitero, un vicino stravagante che va in giro travestito da Cristo, una madre che ne è fiera: non siamo lontani dalle atmosfere di certo surrealismo alla Totò. Ma i tempi sono cambiati, ora ciò che è vero non è soltanto quello che appare agli occhi della gente, ma quello che si vede in televisione, e il finale a sorpresa è la rivelazione di una realtà non solo napoletana.

Come in una favola, l'autore ha rinunciato a scavare psicologie, per designare archetipi, marionette, incapaci di uscire dal personaggio che il burattinaio ha ritagliato per loro. Ma il congegno è perfetto, i tasselli di una storia incredibile ma proprio per questo possibile, alla fine trovano tutti il loro incastro.

Sulla copertina si baciano, perfetti e bugiardi, una coppia di sposi da un quadro di Giovanna Picciau, che a me ricorda perché aveva curato delle esposizioni di suoi quadri, una cara amica gallerista, Sandra Gerace, anche lei una vera napoletana trapiantata a Roma, una di quelle che il loro accento e la loro arguzia partenopea, dopo anni e le esperienze più varie, non li dismettono mai.

[Piera Mattei]