19/07/08

Fred Schepisi, CASA RUSSIA (THE RUSSIA HOUSE)

1989. Tratto dal romanzo omonimo di John Le Carré. Sceneggiatura: Tom Stoppard. Fotografia: Ian Baker. Con Klaus Maria Brandauer, Sean Connery, James Fox, Michelle Pfeiffer, Roy Scheider


Ci capita soprattutto d’esatte di rovistare tra video e dvd e guardare qualcosa che ci era sfuggito o si era sottovalutato, come questo ottimo CASA RUSSIA, che già nel romanzo di Le Carré aveva un pedigree per l’autore e per la storia, oltre a costituire uno dei primi thriller sulla nuova Russia ai suoi inizi. La versione cinematografica non è certo deludente, tutt’altro, e si distinguono anche la sceneggiatura di Tom Stoppard e la fotografia di Ian Baker con belle immagini di architetture oltre che di interni di Leningrado (oggi San Pietroburgo) e Mosca.

Si intrecciano spionaggio e amore attorno alla figura dell’editore Barley (nella notevole interpretazione di Connery) che opera da parecchi anni ed è pervenuto all’età delle disillusioni. Una donna, Katia (bella e complessa emotivamente per merito di Pfeiffer), affida a un agente editoriale a una fiera del libro russa un manoscritto scritto dal fisico Jakov (il bravo attore Brandauer) per Barley, contenente le prove di una presunta debolezza nucleare e difensiva dell’URSS che renderebbe poco produttiva la corsa agli armamenti. Barley assente (in ritiro a Lisbona tra alcool e riflessioni personali), il materiale finisce nella mani dei servizi segreti inglesi della Casa Russia (da cui il titolo del film), che decidono di servirsi delle aderenze e conoscenze di Barley per ottenere maggiori informazioni da Jakov tramite Katia.

L’editore accetta riluttante, dichiarando da subito la propria inaffidabilità e attraverso vicende alterne e complicate alla fine tradisce, barattando l’espatrio in Portogallo di Katia e dei suoi familiari contro informazioni segrete. L’amore per questa donna ha inserito un elemento caotico nell’ordine immaginato dalle istituzioni spionistiche, un momento di irrazionalità nel complotto iperrazionale; e dimostra al contempo come il fattore umanità sconvolga i piani e prevalga alla fine. Questa storia ci è piaciuta anche per questo.

Le perplessità di Barley, il suo ritrovamento di un senso della vita tramite l’innamoramento; la persistenza di movimenti da oltre cortina come la fuga dalla Russia di Katia; la collaborazione con differenziazione di atteggiamento tra servizi britannici e statunitensi; tutti questi sono motivi che si ritrovano in altri romanzi di Le Carré. Nella fase successiva all’89 il suo pessimismo si è acuito e pare che la solidarietà tra persone sia la forma restante rispetto all’egoismo e alla gagliofferia di gruppi privati e pubblici.

CASA RUSSIA è diretto con fermezza e movimento incalzante senza essere frenetico da Fred Schepisi, di cui vogliamo ricordare almeno un altro buon film, THE CHANT OF JIMMY BLACKSMITH (1978), che il regista, prima di trasferirsi negli Stati Uniti, girò in Australia sulla situazione degli aborigeni nell’Ottocento.



[Renato Persòli]