08/04/08

Melanie Klein, SCRITTI 1921-1958


[Bear- aggressive being disguised as benevolent? Foto di Marzia Poerio]

Torino, Bollati Boringhieri, 2006

Riedizione del libro già edito da Bollati Boringhieri nel 1978. Contiene saggi originariamente pubblicati in lingua inglese con i titoli CONTRIBUTIONS TO PSYCHOANALYSIS 1921-1945 (1948), DEVELOPMENTS IN PSYCHOANALYSIS (1952) e ON THE DEVELOPMENT OF MENTAL FUNCTIONING (1958).

Melanie Klein (1882-1960), nata a Vienna, visse gran parte della vita a Londra, ivi chiamata da Ernst Jones per collaborare con la scuola psicoanalitica inglese. Rispetto alla lezione freudiana, contribuì in parte aderendo al progetto del fondatore della psicoanalisi, in parte distaccandosene pur col restare su quel terreno interpretativo a differenza di altre più radicali divaricazioni come quella di Jung. Soprattutto, Klein puntò sulla natura, da lei ritenuta primaria, del contrasto tra Éros e Thánatos, ovvero tra principio di vita e morte, amore e di odio, di benevolenza e aggressività: scrive che “la pulsione di morte (la distruttività) è il fattore primario dell’angoscia” (p. 453).

A parere della psicoanalista, l’essere umano è animato da “un desiderio sempre crescente di essere amato, di amare e di essere in pace col mondo” e trae una “riduzione dell’angoscia dall’appagamento di questo desiderio” (p. 291), mentre è quando si manifesta appieno la pulsione aggressiva e viene seguita che l’odio si rafforza. Secondo Klein, la psicoanalisi sarebbe in grado di rappresentare un’utopia proprio perché potrebbe, anziché reprimere, portare in luce e sciogliere le negatività, promuovendo con naturalezza le tendenze positive degli esseri umani.

Il campo principale di riflessione di Klein è sul primo anno di vita, da cui risultano ipotesi e conclusioni anche sull’età adulta, tanto per le sintomatologie nevrotiche quanto per quelle degli individui equilibrati. Le proiezioni delle aggressività verso l’esterno danno forma a nuclei che si ripeteranno nella vita adulta, come pure le introiezioni di figure e oggetti d’amore e di odio. “Oggetti buoni” e “oggetti cattivi” (p. 303) introiettati o proiettai nella prima infanzia, e in seguito nelle ripetizioni di esperienze omologhe, costituiscono, con il gioco tra Es, Io e Superio, la coscienza morale umana.

Interessante, tra gli altri, il capitolo sugli stati maniaco-depressivi, riscontrati già nell’infanzia e interpretati sulla base di quanto sopra come difficoltà a “consolidare [...] oggetti interni ‘buoni’ e a sentirsi sicuri nel [...] mondo interiore” (p. 353).

A questi stati è legato il senso del lutto, emergente ogni volta che si rivive il cordoglio infantile, con diverse gradazioni di “normalità” e nevrosi a seconda del livello di accettazione principio di realtà e capacità di venire a patti con esso.

Se il bambino fantastica su riduzioni del potere genitoriale, immaginando un indebolimento della madre o del padre o proiettando su di loro sue fantasticherie aggressive, proverà sensi di colpa che si ripeteranno nella vita adulta di fronte a situazioni tali da sollevare i ricordi inconsci infantili, convertendosi in sentimenti quali, ad esempio, l’”estremismo della valutazione: ammirazione esagerata (l’idealizzazione) o disprezzo (svalutazione)” (p. 335). Il senso di colpa nasce dunque dalla “sensazione che il male procurato all’oggetto d’amore sia causato dagli impulsi aggressivi del soggetto” (p. 447).

[Roberto Bertoni]