18/03/08

Remo Cantoni, IL PENSIERO DEI PRIMITIVI. PRELUDIO A UN'ANTROPOLOGIA

Milano, Il Saggiatore, 1966. Versione del 1963, rivista e ampliata rispetto alla prima edizione del 1941.


Il ragionamento di Cantoni è che il pensiero che egli definisce “primitivo” è caratterizzato da quanto potrebbe essere inteso come illogico e irrazionale: "1) l'apparizione dell'insolito; 2) i sogni e le visioni; 3) i diversi modi in cui gli spiriti e i morti rivelano ai vivi la loro presenza e la loro azione" (p. 181).

In tal senso, che si possa così definire o meno l’oggetto dello studio di Cantoni, con un aggettivo, “primitivo”, oggi superato, è vero che si tratta di due modalità del pensiero, non tanto e non solo, si direbbe, sul piano antropologico quanto su quello psicologico della mentalità sincretica rimasta come nostro residuo arcaico:

"Una delle differenze fondamentali tra il pensiero moderno e quello primitivo consiste nel fatto che il pensiero moderno ha una chiara coscienza della relazione e dell'intreccio delle varie forme culturali tra loro e può sempre transitare da una all'altra quando lo voglia; mentre noi sappiamo, ad esempio, che v'è un conflitto tra la scienza e la religione, l'arte e la morale, il sogno e la realtà, il pensiero logico e la creazione mitica, i primitivi mantengono tutte queste forme su di un piano indistinto per cui fondono e confondono ciò che noi non sempre distinguiamo, ma possiamo pur sempre distinguere. Questa mancanza di distinzioni nette è uno dei caratteri più salienti della mentalità primitiva" (p. 183).

Data la scarsa discriminazione, "sogno e realtà trapassano uno nell'altro e costituiscono nella loro saldatura un continuum omogeneo" (p. 185).

Si tratta, sostiene Cantoni sulla scorta di Bergson, di una “mentalità” che "è tuttora presente in noi e si ridesta ogni volta che ci troviamo in situazioni gravi, non dominabili con i nostri criteri normali di intelligibilità" (p. 276).

Varie riflessioni sono sul mito in questa interpretazione esistenziale del primitivismo. Nel mito, “la coscienza obiettiva una sua esigenza vitale, l'esigenza di ricercare e fissare i valori e i significati. Tale esigenza non è irrazionale o gratuita. Essa corrisponde al problema di garantire l'essere dell'uomo nel mondo" (p. 284). Nel mito si verifica un’adesione alla natura e alla società: “il mito, le cui categorie sono fortemente impregnate di emozionalità, unifica e fonde in una partecipazione che rende l'uomo solidale al destino della natura e della società" (p. 296). Nonostante questa simbiosi, il pensiero mitico non è "arbitrario e caotico", bensì "pervaso di una razionalità" (p. 299), ma è "razionalità fusa in un crogiuolo affettivo" (p. 196).

Per queste e altre idee a sfondo psicologico e pragmatico, il saggio di Cantoni può dirsi ancor oggi vitale e affascinante.