26/02/08

ITINERARI DEL RANCORE. DAL RI-SENTIMENTO ALLA MALATTIA, a cura di Renato Rizzi

Torino, Bollati Boringhieri, 2007

Nelle sue varie gradazioni, il rancore è un’emozione e un sentimento che determina aspetti importanti della vita personale e sociale; è caratterizzato da persistenza e acredine; “si usa per l’odio inveterato, per un risentimento tenace” e “intossica la vita” (p. 9).

In varie inchieste i cui risultati sono esposti da alcuni dei collaboratori a questo libro, risulta che il rancore è diffuso (circa il 77% degli intervistati l’ha provato nell’indagine di Rizzi); ha varie connotazioni che comprendono rabbia, astio, risentimento, malanimo, fastidio, si esprime con maggior intensità sotto forma di rabbia e con maggiore durata come risentimento (indagine di Valentina D’Urso, pp. 198 e 202).

Secondo Rizzi, il rancore “può spaziare dalla gelosia e dall’invidia fino alla collera e alla vendetta”, ma “può essere sublimato solo dal perdono” che “produce un senso di sollievo” e un “benessere emotivo e organico” (p. 147). Quando raggiunge livelli patologici, si manifesta con un’“esplosione risentita (come nel nevrotico), con il ritiro autistico (come nello psicotico), nel rabbioso risentimento paranoico oppure con il distacco e la rigidità degli schizoidi” (p. 130).

Ulteriori aspetti psicologici e fenomenologici sono esaminati nel saggio di Paola Di Blasio e Sarah Miragoli e in quello di Luisa Bonfiglioli e Pier Enrico Ricci Bitti.

Luis Kancyper mette in rilievo diversi elementi, tra i quali la differenza tra “memoria del rancore” (sentimento negativo) e “memoria del dolore”: è a quest’ultima che perverrà un’elaborazione che consenta di lasciare alla spalle la concezione di “vittima innocente” di chi ha subito un torto e provato rancore, permettendo di percepire l’esperienza vissuta da un “soggetto attivo e responsabile [...] non condizionato da un passato che non può dimenticare né perdonare” (p. 229).

Sul piano storico, David Bidussa analizza la memoria dello “scampato” e quella dello “sconfitto”. Vittoria Ardini e Steve Davies affrontano il rancore in prospettiva criminologica: quello provato da chi ha perpetrato un reato più estesamente di quello di chi l’ha subito. Stefano Tomelleri si occupa di aspetti antropologici; e Luca Casadio della rappresentazione del rancore nelle arti, con un’interpretazione interessante, in particolare, di alcuni dipinti di Artemisia Gentileschi, visti come provenienti dall’esperienza del processo per violenza del quale fu protagonista.

I saggi citati interpretano traumi individuali e collettivi. Si tratta di un libro utile e articolato.


[Roberto Bertoni]