19/11/07

Annalisa Bonomo, LA PARALETTERATURA: UN CASO LETTERARIO

Un budget di 150 milioni di dollari ed un cast d'eccezione sembrano destinati a ripetete il successo già ottenuto qualche anno fa da IL SIGNORE DEGLI ANELLI. Numerosi, infatti, attendono con ansia l'uscita de LA BUSSOLA D'ORO, primo capitolo della trilogia di Philip Pullman QUESTE OSCURE MATERIE, nelle sale cinematografiche inglesi il 7 Dicembre e in quelle italiane il 14 dello stesso mese.

Ancora una volta insomma la letteratura esce dalle biblioteche ed entra direttamente nelle nostre case attraverso nuovi media (alternativi alla tradizionale carta stampata) come la televisione, il cinema e gli ipertesti capaci di raccontare o tradurre la scrittura in senso stretto.

Tale scenario ripropone uno tra i dibattiti più accesi del secolo scorso ossia quello sulla presunta esistenza di una cultura alta o high culture e quella di una sua scomoda controparte, mediocre o bassa per l'appunto, la low culture.

Se della prima entrò subito a far parte tutto quanto avesse in qualche modo a che fare con la vita dell'uomo, quella reale si intende (dalla filosofia alle scienze, dalla poesia alle arti figurative per esempio), è stata la fantasia con i suoi surrogati ad acquisire i diritti della seconda.

Come conseguenza di se stessa, la crescente massificazione delle lettere ha prodotto una dura reazione di chi in una differenza di valore e di intenzionalità ci crede ancora ed è all'interno di questo panorama che si anima l'ulteriore débacle inerente questa volta l'esistenza o meno di una tra le ultime categorie del letterario, a cui si è dato il nome di "paraletteratura", letteralmente "vicino alla letteratura".

Si tratta di un concetto tanto storico e sociologico quanto letterario, la cui nomenclatura (coniata durante il convegno internazionale tenutosi nella normanna Cerisy-la-Salle nel 1967, incentrato appunto sullo studio delle paraletterature) ci introduce sin da subito all'interno di un territorio meticcio e derivato messo in relazione con la produzione letteraria classica.

Si è trattato inizialmente dello studio di tutta una serie di stereotipi situazionali e formali (che coincidevano spesso nella formula "uguale intreccio in uguale forma") di tutte quelle strane variabili dell'evoluzione del romanzo dal XVIII secolo in poi.

Con il passare del tempo invece, continuarono a susseguirsi numerosi e sempre più specialistici tentativi di dare un nome alla "cosa", di "definire" in qualche modo ciò che era ormai divenuto un vero e proprio campo di studi nato dall'incontro e/o scontro del romanzesco con i mezzi di comunicazione di massa.

Nonostante ciò comunque, la paraletteratura è ancora alla ricerca di una propria identità.

Da figlia della rivoluzione industriale, quest'ultima ha sicuramente imposto nuove forme di rappresentazione che vanno da quelle alternative della commedia dell'arte al cinema e al romanzo poliziesco, dall'operetta alla musica folk e alla canzone popolare, dal mistero alla fantasia, dal fumetto alla riscoperta delle categorie del fantastico, sino alle più ambiziose frontiere del pornografico - solo per citarne qualcuna.

D'altro canto quanto sostenuto da Todorov nella sua POETICA DELLA PROSA [1] ha ormai fatto storia: sembra infatti possibile contrapporre alle "grandi opere" (ossia quelle capaci di creare una nuova estetica) un tipo di letteratura che per schemi adoperati e presunte finalità viene comunemente definita di massa.

Secondo questo punto di vista quindi, non ci sarebbe più possibile parlare che di generi paraletterari poiché tutto ciò che non risulti riconducibile alla categoria del "capolavoro" sarebbe inevitabilmente destinato ad essere svalutato a prodotto di secondo ordine, popolare per l'appunto.

La cosa di fatto non costituisce una novità assoluta. Facendo un passo indietro sino alla categoria del cronotopo teorizzata da Bachtin [2] o ripensando all'innovativa classificazione dei generi proposta da Frye ci risulterà evidente come numerosi siano stati nel tempo i tentativi di porre il testo letterario in un rapporto di continuo riferimento con il mondo. Esisteva tuttavia un limite di tali classificazioni ed era certamente l'eccessiva teoricità e la mancanza di un più sostanziale avvicinamento alla storia.

Se Umberto Eco stesso affermava che "Per forma si intende un atteggiamento generale, intersoggettivo, una sorta di istituzione comune ad un tempo, ad un ambiente di cui si può anzi si deve fare la storia" [3], qualunque opera d'arte dimostra la capacità di trasformarsi in messaggio profondamente ambiguo, di contenere una pluralità di significati che convivono in un solo significante. Per tale ragione si è parlato di struttura "aperta", di un sistema di relazioni sempre nuove ed in movimento capaci di mutare forma e valore nel rapporto magico tra l'artista creatore della sua opera ed il proprio pubblico.

A tale atteggiamento c'è tuttavia chi contrappone grosse perplessità. Si teme in altre parole il rischio di cadere nell'impossibilità di definire qualunque opera, di permanere in una sorta di limbo in cui tutto può essere tutto ed il contrario di tutto.

Discutere invece della necessità di delimitare le interpretazioni non mi sembra un'inversione di rotta rispetto all'affermazione delle potenzialità di apertura dell'opera letteraria. Mantenere, infatti, un ragionato riferimento al testo insieme ad un maturo atteggiamento di lettori, permetterebbe di ristabilire un più giusto accordo tra la comunità degli interpreti e le intenzionalità semantiche ed etiche dell'opera: "Il vero contenuto dell'opera diventa il suo "modo" di vedere il mondo e di giudicarlo" [4].

Qualsiasi opera "vede" quindi e "giudica", anche attraverso modi alternativi a quelli tradizionali, lo stesso oggetto: il mondo.

È dunque impossibile alla luce di tali considerazioni stabilire un limite netto tra letteratura e paraletteratura o se vogliamo tra alto e basso, tra impegno ed evasione, tra nobiltà e borghesia del campo letterario ed è proprio all'interno di questo fenomeno culturale tout court che di colloca la "patata bollente" del nostro dibattito: la letteratura fantastica ad il fantasy in particolare.

Sempre più numerose sono le discipline che da anni ormai stringono strani connubi con le categorie dell'immaginario e vanno dalla storia all'antropologia, dalla sociologia all'etica sino alle pionieristiche posizioni assunte dalla scienza stessa.

Si sono così aperti ai nostri occhi nuovi scenari che hanno rimesso in discussione il significato sociale della fantasia messa in relazione con la vita.

Che il rapporto tra il mito e la fiaba vanti ormai annose radici rappresenta una realtà alla quale nessun teorico o contestatore del genere potrebbe mai obiettare. Che poi il fantasy abbia attualmente ereditato quanto in passato era spettato al mito è sicuramente sotto gli occhi di tutti (critici letterari e non). È pur vero però che la vecchia mitologia è stata sostituita da tempo ormai da una religione sempre più istituzionalizzata ed intransigente, dalla scienza di Darwin e dagli stessi Freud e Marx che ne avevano profondamente minato le fondamenta. Nonostante ciò comunque il mito e la storia risultano ancora fatti della stessa sostanza: "La mitologia, l'insieme dei miti di ogni cultura, è un elemento della letteratura e la letteratura è un mezzo per estendere il mito" [5].

Il mito come "causa" ed "archetipo formale" alla Frye quindi, e base della coscienza comune in cui la mitizzazione prende forma e che la letteratura non fa altro che registrare.

Certo è innegabile che il mito nelle relazioni con l'industria culturale abbia subito numerosi mutamenti, spesso in maniera eccentrica ed eterogenea.

Ciò che mi sembra evidente comunque è che il mito non è morto all'interno di queste relazioni ma ha forse solamente mutato forma.

I simboli, infatti, sempre più naturalmente tendono ad assurgersi a ponte universale tra il contingente e l'eterno, tra l'alto e il basso, tra il macrocosmo ed il microcosmo, tra il corpo e lo mente, tra l'arte e la vita insomma. La letteratura fantastica dal canto suo si è sempre manifestata particolarmente permeabile a tali condizionamenti. Ha finito con il diventare ora un genere ora un modo letterario dalle radici storiche ben precise e suddiviso a sua volta in sottogeneri: "Elementi ed atteggiamenti del mondo fantastico […] si ritrovano con grande facilità in opere di impianto mimetico-realistico, romanzesco, patetico-sentimentale, fiabesco, comico-carnevalesco ed altro ancora" [6].

È come se una società sempre più vittima di forti condizionamenti politici e sociali sia ancora in grado di "sognare" di un sogno, paradossalmente engagé, capace di contestualizzare le realtà e le aporie del nostro tempo.

Non si tratta comunque di fuggire. Se di fuga vogliamo parlare mi è sempre piaciuto pensarla come fuga "di ritorno", ritorno "verso" e non "contro" il mondo e il tempo che lo rappresenta, lungo binari magicamente reali.

Se è pur vero che, "permeabile il romanzo paraletterario è attraversato da tutti i tic del linguaggio, della lingua, degli stereotipi e formule dal conformismo più piatto, dall'ideologia più banale" [7], è altrettanto possibile che talvolta queste colonne d'Ercole vengano oltrepassate.

Ci si dovrebbe invece interrogare se la paraletteratura sia capace di parlare. Chiedersi in altre parole dell'esistenza di senso all'interno di mondi alternativi a quello primario e razionale.

Una delle risposte possibili ritraccia nei nuovi lettori il desiderio di sovvertire il vecchio ordine alla ricerca di un'identità nuova. Lettori che spaventano per il fatto di non essere più soltanto dei giovanissimi ed inesperti fruitori, ma uomini e donne di tutte le età, rapacemente attratti come i più piccoli dall'ultima avventura nel cuore degli abissi o ai limiti dell'universo conosciuto, che trova una nuova ragion d'essere nel coraggio dei giovani protagonisti, adeguatamente incoscienti della vita e della morte ma responsabilmente contrari all'immobilismo degli adulti. Iniziano così vere e proprie descentes aux enfers all'interno di nuove terre e mondi che si collocano al di fuori dei più naturali confini della cultura occidentale, capaci di stravolgere le tradizionali prospettive della vita e della morte; dove lo Stato non è più Stato, dove la Chiesa non è più rifugio, dove i rapporti tra padri e figli/e sono i primi ad essere messi in discussione.

Nell'adolescenza risiedono le aspettative e le ansie degli uomini. Adeguatamente a metà tra essere e divenire l'adolescente rivela lo stato d'animo più favorevole alla ricerca, è il nuovo wanderer, per sua natura più disposto a perdersi per poi ritrovarsi, forse diverso, a volte ai limiti del non-essere, ma più consapevole della natura umana nella sua interezza, fatta tanto di fratture quanto di epifanie. Sono gli uomini e le donne bambino i nuovi protagonisti del salto nel buio che lascia a casa gli adulti o combatte contro di essi.

Nel nostro caso ciò che più importa è sottolineare come un prodotto catalogato come paraletterario non sempre sarà a destinato a coincidere con quello mal scritto e privo di contenuti reali.

Da "apocalittici" o "integrati" [8] dovremmo quindi superare un concetto ormai feticcio come quello di "massa" come sinonimo di caduta intellettuale.

L'universo delle comunicazioni di massa, del cinema, del multi-player, è il nostro sebbene spesso si tenti di negarlo. Significa accettare di operare all'interno della propria prospettiva storica e sociale.

Assumendo quindi ancora una volta il fantasy a modello paraletterario di riferimento ci risulta davvero improbabile che capolavori del genere quali IL SIGNORE DEGLI ANELLI di Tolkien o LE CRONACHE DI NARNIA di Lewis, o ancora il recentissimo QUESTE OSCURE MATERIE di Pullman si siano imposti al grande pubblico unicamente grazie alla loro carica "escapista"; si tratta di viaggi che contemplano comunque un ritorno verso la vita; di evasioni nell'ignoto verso una nuova conoscenza di sé più consapevole. Insita nella loro stessa natura si colloca la necessità di una "seconda lettura", di un secondo grado d'interpretazione grazie al quale poter ritracciarne le potenzialità, ora sovversive ora ristoratrici. L'intento sarà comunque quello di stimolare nei più giovani la volontà di partecipare simbolicamente ai codici sociali del loro tempo e ad interagire tanto con il loro passato quanto con il loro futuro.

Abbiamo iniziato parlando di high culture e low culture, ma tentando di stabilire un netto confine tra le due ci ritroviamo comunque all'interno di due cerchi che non si chiudono: l'immaginario indossa ancora una volta una maschera dai mille volti che affascina la letteratura tutta, alle prese oggi più che mai con i limiti della propria universalità in relazione alla creazione di un nuovo canone per il terzo millennio.

Alla luce di tali considerazioni l'esistenza o meno della paraletteratura rimane davvero un "caso" ancora irrisolto.

Come in natura: "non c'è alcun "sopra" o "sotto", e non esistono gerarchie. Ci sono reti dentro altre reti" [9], così è possibile suggerire una medesima analisi del produrre letterario; un'analisi che non riesce a prescindere dal crescente numero di interrelazioni o contaminazioni della parola (scritta o parlata) come chiave di lettura della vita.

Dal circuito delle vendite di massa qualcosa si tirerà inevitabilmente fuori, a volte per consistenza, altre per carattere, altre ancora per finalità, ma in maniera sufficiente a stimolare l'intrigante dibattito sull'"ovvio".


NOTE

[1] T. Todorov, POÉTIQUE DE LA PROSE (1971), trad. it. POETICA DELLA PROSA, Roma-Napoli, Teoria, 1989.
[2] Si rilegga a tal proposito del cronotopo come interconnessione sostanziale tra i rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si impadronisce, in M. Bachtin, ESTETICA E ROMANZO (1975), Torino, Einaudi, 1997, pp. 231 sgg.
[3] U. Eco, OPERA APERTA (1962), Milano, Bompiani, 2000, p. XI.
[4] U. Eco, OPERA APERTA, cit., p. 270
[5] L. Coupe, IL MITO: TEORIA E STORIA, Roma, Donzelli, 1999, p. XI.
[6] R. Ceserani, IL FANTASTICO, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 11.
[7] D.Couegnas, PARALETTERATURA, La Nuova Italia, Firenze 1997, p. 61.
[8] Cfr. U. Eco, APOCALITTICI E INTEGRATI. COMUNICAZIONI DI MASSA E TEORIE DELLA CULTURA DI MASSA (1964), Milano, Bompiani, 2003.
[9] F. Capra, LA RETE DELLA VITA (1996), Milano, Rizzoli, 2001, pp. 44-45.