01/08/07

PER INGMAR BERGMAN


[Stained glass. Foto di Marzia Poerio]


Quanti Bergman ci sono stati, intendiamo come autore?

Si è spesso parlato del regista esistenziale, lento, pesante; e questo aspetto è innegabile, si pensi a SUSSURRI E GRIDA. Dalla serie bergmaniana di pellicole di quel tipo ricordiamo le crisi coniugali, le riprese in primo piano di coniugi o amanti con segreti del passato, traumi insanati, parole prive di spensieratezza e di leggerezza, atmosfere che abbiamo imparato ad associare col Nord: spiagge petrose, città con scarso traffico, abetaie, laghi, interni con mobili di legno, maglioni a collo alto, occhi celesti, teatralità e naturalezza allo stesso tempo.

Quel Bergman arduo da assimilare è come un libro da rileggere continuamente, da non dismettere per la sua difficoltà di guardarlo, bensì da riannodare in seconde e terze visioni quando finalmente si dispongono in equilibrio la perfezione della regia, la precisione dei particolari, l’impeccabile recitazione, la tenuta del testo che organizza il caos della vita con parole pacate pur narrando racconti terribili.

L’altro Bergman è ancora complesso ma più facilmente godibile, dal surrealismo e dalle simbologie del SETTIMO SIGILLO alle rievocazioni liriche di opere come IL POSTO DELLE FRAGOLE, anche con lati comici come in FANNY E ALEXANDER.

Un autore che con pervicacia ha perseguito nei testi il proprio discorso intelligente, proiettandolo sulle superfici visive di noi tardomoderni dalle profondità dell’inconscio; da un Ottocento eroso dalla crisi dell’individuo novecentesco; con uno strumento squisitamente contemporaneo, il cinema, ma respingendo gli allettamenti commerciali, e diventando al contempo uno dei più famosi registi del mondo. Integrazione nel sistema culturale? O capacità di sapersi imporre anche sul circuito mediatico per uno stile inimitabile.

Per l’impegno esistenziale, la serietà dei messaggi, la cinematografia abile e personale, ricordiamo Bergman, scomparso il 30 luglio.

[Renato Persòli]