Bollingen, La Torre, 3 settembre 1939
Cara Sabine,
ti scrivo, dopo tanti anni di silenzio, per raccontarti un mio sogno.
Mi trovavo in India, nei pressi dell'isola di Ceylon. I contorni dell'isola splendevano di un bagliore azzurro. Accanto a me, vicino a una grande pietra di colore rosso bruno, c'era una donna sconosciuta che mi parlava con una voce stupenda e io trascrivevo le sue parole su un taccuino. C'era della meraviglia nel mio cuore, come se sentissi le parole di un oracolo. La donna continuava a parlare e io mi sentivo sempre più leggero e felice. Alle nostre spalle, un po' in ombra, acquattato dietro la pietra, vedevo una figura di vecchio, forse barbuta, che mi ricordava un saggio indù.
Poi, d'un tratto, la donna spariva. Il taccuino mi cadeva sul prato e io non lo trovavo più: anche il vecchio spariva, restavo solo e disperato, e mi svegliavo di colpo, accorgendomi con angoscia che non ricordavo neppure una delle meravigliose parole della donna.
Il sogno mi ha turbato, Sabine, e ho voluto subito scriverne a te. So che ora stai bene: ti sei sposata, hai due figli e scrivi. Ho letto il tuo saggio sulle fantasie infantili e quello sui sogni di una donna schizofrenica. I miei più vivi complimenti.
Ricordo appena, con uno strano disagio, l'intensità della tua sofferenza e la bellezza delle tue visioni, quando eri malata e cercavo, con ostinazione, di dare un senso alla tua malattia.
Ora sono io a chiederti aiuto. Che cosa ne pensi del mio sogno? Sii sincera, Sabine.
Per quanto mi riguarda, più mi sforzo e più intravedo una sola ipotesi: c'è un momento, nella vita di un individuo, in cui la Grande Madre Terra, l'immaginazione e l'inconscio, non possono più nutrire nulla. Ci si stanca di essere rivolti all'infinito, sempre in ascolto dei sogni. C'è un momento, drammatico e personale, quando tutte le bellezze e le meraviglie del Sé devono sparire. Forse è per questo che la donna sparisce e il taccuino viene perduto. Significa che la mia ricerca si è conclusa? Che devo abituarmi a essere solo, Sabine?
Un abbraccio dal tuo
Gustav
***
Rostov, autunno 1939
Caro Jung,
non ho neppure un'ora per risponderti con la calma che merita la tua lettera. Sono trafelata e preoccupata. Questo è un tempo terribile e anche in Russia sono cominciate le persecuzioni contro gli ebrei. Devo mettere in salvo me e le mie figlie e non posso pensare ad altro. La psicosi collettiva che ha sconvolto il nostro secolo non mi avrà come vittima consenziente.
Non è più il tempo di sognare, Gustav. E tu, proprio ora, con paradossale inopportunità, mi spedisci il tuo sogno e chiedi la mia opinione. Avrei desiderato che lo facessi molto tempo fa, quando mi era necessario, ma allora tu eri troppo attento alla tua opera; trascrivevi i miei delirî con puntuale esattezza e non ti curavi se io stessi bene o se soffrissi. Ti servivo, eri affascinato, forse mi amavi.
Solo quando sono guarita e ho cominciato a comprendere il mio dolore e a comprenderlo negli altri, ho sentito che anche la schizofrenia poteva avere un senso. Lo riconosco, tu mi hai aiutata come meglio hai potuto. Ma alla fine ho dovuto essere sola per dare un senso al mio male. Allora ho cominciato a studiare, a scrivere, a definire.
Comprendi ciò che intendo dirti? Tu hai sognato me, Gustav. Il tuo sogno vuole dire solo questo.
Non c'entra né l'India né la Grande Madre: tu hai sognato me, Sabine Spielrein, la donna schizofrenica che hai amato e sulla cui malattia hai preso appunti definitivi per il tuo concetto di psicosi. Non hai forse ascoltato me, giorno per giorno? E quel vecchio barbuto, alle tue spalle, non è forse il grande Sigmund Freud, l'altro uomo che ha rubato le mie intuizioni? Hai forse dimenticato che la sua idea dell'istinto di morte, che elevò a teoria in AL DI LÀ DEL PRINCIPIO DEL PIACERE, è stata una mia idea, che pubblicai dieci anni prima in un breve articolo, intitolandolo LA DISTRUZIONE COME CAUSA DELLA NASCITA?
Quindi il tuo sogno è semplice, Gustav. Non c'entra nessuna Grande Madre. C'entrate tu e Freud. Voi mi avete rubata a me stessa. E quando nel sogno io scompaio e tu perdi il tuo prezioso blocchetto di appunti, mi viene da dire soltanto questo: che hai preso coscienza di ciò che io sono stata per te, di quanto imparasti attraverso di me e questa dolorosa consapevolezza ti ha fatto vacillare, il taccuino ti è caduto di mano, hai cominciato a soffrire.
Il sogno è dunque chiarissimo. La donna che scompare sono io. E forse in questo sei assolutamente reale: io vivo in mezzo a tali quotidiane sparizioni - persone deportate, cancellate dal mondo nel giro di poche ore - che ho il timore quotidiano di essere strappata a me stessa. Di svanire come è accaduto nel tuo sogno. Di morire realmente. E se tu fossi profetico, Gustav?
Non scrivermi più. Non pensarmi. Non sognarmi. Forse, un giorno, ci rivedremo ancora. Ma sarà in un mio sogno, stavolta, e tu dovrai riportarmi quel taccuino che ti cadde di mano; io lo leggerò e vedrò che è firmato col mio nome: Sabine Spielrein.
Allora io, di mio pugno, aggiungerò, accanto al mio, il tuo nome: Carl Gustav Jung. Eccoci insieme, come non siamo mai stati.
Sabine
NOTA
Sabine Spielrein nacque nel 1885 e presumibilmente morì con le due figlie nel 1941 in un lager nazista. Conobbe Sigmund Freud, con cui ebbe un breve carteggio. Soffrì di alcune crisi psicotiche, per le quali venne curata da Carl Gustav Jung, che si innamorò di lei. Guarita, Sabine divenne psicoanalista e scrisse diversi saggi, fra cui COMPRENSIONE DELLA SCHIZOFRENIA, determinanti per l'interpretazione psicoanalitica della psicosi.
Questo racconto si trova in NODI DEL CUORE di Lucetta Frisa e Marco Ercolani (Milano, Greco & Greco, 2000) ed è un epistolario immaginario, tra verità e finzione, di coppie di artisti. Come scrive Franco Rella nella postfazione al libro: "Il lettore viene chiamato ad una indagine che è una vera e propria sfida. Legge delle pagine autentiche; legge delle pagine apocrife che hanno il timbro delle pagine autentiche che ha appena letto; legge, nel conflitto che si apre tra l’autentico e l’apocrifo, la traccia di una verità più profonda che si nasconde nell’ombra".