Roma, Edizioni de "L'Unità", 2006
Nato a Lerici (SP), oltre che regista e sceneggiatore, Faccini è autore di romanzi e racconti, tra i quali si distinguono LA BAIA DELLA TORRE CHE VOLA (Piombino, TraccEdizioni, 1997), IL CASTELLO DEI DUE MARI (Messina, Mesogea, 2000), UN POLIZIOTTO PERBENE (Lerici, Ippogrifo, 2002), orientati tutti, quale più quale meno, sulla memoria del luogo originario, il senso di identità legato alla zona, riferimenti sociali e storici, una narrariva scorrevole con elementi picareschi e corali, un realismo percorso da tratti sperimentali nel primo volume citato, poi più orientato sia sul gusto del narrare che sull'impegno. Nella prefazione a IL CASTELLO DEI DUE MARI (p. 15) accenna, indirettamente, a queste due correnti della propria scrittura quando da un lato lato insiste sul senso della continuità storica: "Godo di un privilegio, fin dall'infanzia. Quello di essere nato nella spirale arroccata di Lerici, nell'intrico di segni che avi guerreschi hanno sparso durante secolari ed alterne sopraffazioni"; dall'altro lato allude al'importanza della memoria e anche del gioco, con riferimento all'esperienza del'infanzia trascorsa nel quartiere del castello. Nell'ultimo romanzo pubblicato, L'UOMO CHE NACQUE MORENDO, si intrecciano una storia di Resistenza e una resa topografica e antropologica delle comunità del territorio lericino e delle zone confinanti.
L'UOMO CHE NACQUE MORENDO è basato su fatti realmente accaduti: la tipografia clandestina comunista della Rocchetta, sulle colline di Lerici; l'organizzazione partigiana a Lerici e Sarzana e più in generale in provincia di La Spezia; la defezione di un ufficiale tedesco, Rudolf Jacobs, Capitano della Marina incaricato di compiti non di combattimento (rifornimenti alimentari, situazione logistica, impiego di personale), che passò alla formazione combattente antifascista "Muccini" per il tramite di Edilio Lupi, partigiano non armato appartenente alle SAP (Squadre di Azione Patriottica); e morì nel 1944 durante un'azione. Storico, rivela una Nota, è anche l'episodio della denuncia di irregolarità commesse dai rappresentanti della cooperativa fascista La Sociale di Lerici e la loro sostituzione in accordo con le richieste dello stesso movimento partigiano. L'Appendice (intitolata UN LABIRINTO DI NOME RUDOLF JACOBS) ripercorre l'itinerario di ricerca e le testimonianze raccolte da parte dell'autore sulla persona da cui scaturisce il personaggio del romanzo.
Escluse le notizie biografiche generiche (nascita a Brema, istruzione, madre protestante di origine ebraica, matrimonio) e gli episodi di cui sopra, non sapendosi molto dell'Ufficiale, Faccini si trova a costruire il suo realismo delinenando come ed entro quali parametri bilanciare il rapporto tra evidenze della cronaca e funzione immaginativa. Scrive:
"Ecco l'ambito che lo storiografo e il narratore devono affrontare: il vuoto di realtà, le ipotesi plausibili, le moralità del tempo storico. Ricercare, senza immaginare spazi e tempo, umanità e culture, storie dentro la Storia, puó diventare un esercizio notarile, rischiosamente privo di vita. Bisogna diventare colui che si sta inseguendo, per raggiungerlo, affiancarlo, coglierne il respiro morale, raccontarlo senza tradirlo..." (p. 236).
Tiene fede a questi impegni.
Gli spazi sono quelli reali ricostruiti, ma anche rielaborati, quasi si sovrapponesse, alla percezione geografica da parte dei personaggi, il genius loci dell'autore, con la nostalgia della distanza, forse, dato che ha vissuto a lungo a Roma, lontano dai posti in cui è nato.
Anche in uno scenario di guerra e di stenti, tra scarsità di vettovaglie, preziosità di alimenti come il sale, morte di un cavallo che diventa grato alimento, tortura, lutti, viene nondimeno evidenziata quella ligusticità che a dispetto di dichiarazioni in contrario si ritrova in tanti autori della regione: riposta, per quanto riguarda questa storia, non solo negli atteggiamenti umani dei protagonisti ma anche nel paesaggio, secondo le convenzioni letterarie del tópos ligure, che dei luoghi fa, come già in Montale, correlativo oggettivo e riferimento esistenziale. La bellezza del paesaggio, mentre viene còlta positivamente, si inserisce in un contesto di non idillio con cui stride, assume dunque anche connotazioni disforiche.
Portatori di questa ideologia del panorama sono, per il tramite del narratore in terza persona, i riferimenti contestuali e i flussi indiretti liberi dei personaggi.
Il partigiano Edilio, in contrasto col suo deciso comportamento pragmatico, agisce in contesti paesaggistici lirico-favolistici. Un esempio è l'edificio esistente nella realtà e reso in modo parzialmente fiabesco, con precisione descrittiva congiunta a magismo, una combinazione di ascendenza si direbbe calviniana: "[...] la villa celestina, dalla grande terrazza bianca e torre quadra, che spuntava in mezzo al verde, lassù, poco oltre le sabbie chiare della Venere Azzurra" (p. 13); con connotazioni metaforiche aggiuntive: un "pomeriggio d'oro, mentre il sole scendeva dietro la cima della Castellana e Portovenere salpava, nera, contro il cielo chiarissimo" (p. 14).
Rudolf, l'osservatore esterno, lo straniero, attraverso il rapporto coi luoghi si identifica nel mondo col quale infine si congiungerà politicamente. Fin dalle prime pagine: "Il promontorio divenne, per il Capitano, scommessa vitale. Sorvolato con un ricognitore, simulando attacchi aerei alle future postazioni cannoniere, percorso e scalato, disegnando forre e dirupi, muraglie e terrazzamenti, il Capitano ne scoprì la storia millenaria". Il Fieldmaresciallo Rommel gli fa osservare: "[...] si è innamorato di un pezzo di terra benedetta dal sole [...]. Ne vuol fare il suo giardino?" (p. 16).
Il rapporto tra antidillio bellico e idillio naturale è marcato in passi come questo:
"I bunker a tartaruga, disegnati dal Capitano, riscossero vivi apprezzamenti guerreschi. Ma i grovigli ventosi, di pinastro e leccio, vite selvatica e ulivo tinti ad acquerello, sullo sfondo luminoso del mare, strapparono esclamazioni e lodi. 'Ha una carriera davanti a sé, Capitano! Dove si trova questa natura incontaminata?', chiese, ironicamente, L'Obermajor Schmidt [...]. 'Sul Monte Caprione, attorno ai nostri cannoni. Quando li avremo installati...', rispose il Capitano, freddamente. 'Uno splendore, degno dei grandi poeti che cantarono questo golfo. Byron e Shelley...', aggiunse..." (p. 34).
La spazialità è anche il teatro locale degli eventi: le località menzionate con cura, la descrizione degli ambienti, quasi una mappa dell'area geografica prescelta. Tuttavia, fin da subito, il locale non esiste da sé, acquisisce significato in relazione al globale: come è inevitabile nel quadro della seconda guerra mondiale, nonché con proiezione verso il nostro presente, in cui le dimensioni sono interconnesse, anzi una dà senso all'altra: oggi il mondo è globalizzato, e attraverso i mezzi di comunicazione elettronici e l'economia planetaria, i luoghi ai margini, almeno nel mondo occidentale, sono inseriti nel flusso delle informazioni e delle culture materiali, tanto che la loro vita, pur mantenendo aspetti definiti entro la traduzione locale, al contempo assume i tratti della dinamica socioeconomica mondializzata.
Nell'UOMO CHE NACQUE MORENDO, se c'è coscienza della bellezza naturalistica, faccia a faccia quasi con la presenza della guerra, viene reso del pari l'ambiente antropologico, con dettagli relativi alle professioni (gli operai, i tipografi, la stiratrice) e altri strumenti quali l'uso, pur se ristretto, del dialetto.
Resa con partecipazione umana, la gente della zona non viene idealizzata. Edilio, ad esempio, è un "lericino di faccia estrusca", ma non è sente da "astuzia levantina" (p. 14). Oppure, va detto, le solidarietà tra il popolo non impediscono le rivalità personali. È certo che, come accadde nella realtà, le solidarietà politiche vengono rispettate: tra chi partecipa alla lotta antifascista c'è un legame più forte di quello dell'identità puramente etnica; c'è però, parallela, la tendenza dell'autore a non eroizzare, mettendo in evidenza pure gli errori e le ingiustizie, come la fucilazione di un partigiano da parte di altri per un motivo che appare scorretto e per cui si attua la critica da parte dei Comandi.
Faccini non si esime dalle connotazioni identitarie di classe, in reazione forse ad un certo revisionismo storico odierno. Sebbene il Capitano sia un rappresentante della classe medio-alta, la maggioranza dei personaggi positivi è di condizioni proletarie; e la riattribuzione di realtà e identità del popolo nella zona descritta passa attraverso questo aspetto.
Si accompagna a quanto sopra la coralità, ovvero la presentazione dellle esistenze di vari personaggi seguendone i fili in simultaneità, il consenso attorno a valori antifascisti, la non prevalenza di un personaggio sugli altri. Anche al Capitano, protagonista del romanzo, non viene assegnato un ruolo nettamente principiale; lo affiancano anzi il partigiano Milio e la moglie col figlio che sta per nascere e la difficoltà a mandare avanti il bilancio familiare, la Scalmanata col suo risentimento, Paolaccio coraggioso sopravvissuto alle sevizie naziste, e altri. Questa rappresentazione contemporanea di più vite con elementi ideologici in comune ha un qualche ascendente letterario, forse, in Pratolini (ipotizzabile anche per i tratti non tutti ideologici, alla Metello, dei personaggi di bassa condizione sociale, la loro tendenza all'affettività, i fattori del popolaresco: a Lerici come a San Frediano, poniamo).
La coralità, strutturalmente, si esplica con una scrittura che, pur intrecciando "varie storie dentro la Storia" come dichiara l'autore (lo si citava poco sopra), passa da un racconto al successivo, seguendo a contempo il filo generale, senza soluzione di continuità, senza cioè lasciare spazi bianchi sulla pagina tra le vicende di alcuni e quelle di altri, di volta in volta.
La moralità è presente, cerniera il concetto di umanità, in sintonia con l'ethos del periodo (l'"andremo semmai verso l'uomo" di Pavese) e con riferimenti piú puntuali a Vittorini (UOMINI E NO e "Il Politecnico") in modo anche un po' smaccato, si veda questa frase: "Dovremmo essere uomini prima che tedeschi o italiani o inglesi o americani..." (p. 130). Non manca, a tale livello, un richiamo alla giustizia e ingiustizia umana rispetto a quella divina in dialoghi dubitanti tra il Capitano e il prete, che parrebbero rivelare una mentalità laica ma rispettosa della religione (cfr. tra le altre la p. 118).
[Roberto Bertoni]