22/07/07

Chitra Divakaruni, QUEEN OF DREAMS


[A dreamy entrance in Dalkey. Foto di Marzia Poerio]


Prima edizione: U.S.A., Doubleday (Random House), 2004. Le citazioni sono qui tratte dall’edizione Londra, Abacus, 2005. Edizione italiana: LA REGINA DEI SOGNI, traduzione di Federica Oddera, Torino, Einaudi, 2005.

Proveniente da una famiglia indiana trasferitasi negli Stati Uniti, Rakhi ha divorziato dal marito Sonny, un disc jockey, per una serata sgradevole in cui si è trovata suo malgrado coinvolta. La figlia, Jona, ha forse ereditato il dono di sognare e interpretare i sogni altrui della madre di Rakhi: è Jona a sognare incendi fino a quando il fuoco si materializza nella realtà drammatica dell’11 settembre, discrimine che in questo romanzo, come in altri recenti, provoca una possibilità di riconciliazione tra i coniugi, ma viene in questo caso rappresentato anche il fanatismo immotivato del giorno del disastro contro comunità etniche di sicura appartenenza non terrorista nella California in cui questa storia è ambientata, esprimendosi così un disagio sociale palese. Tra difficoltà di comunicazione con l’ex marito e la figlia, nel lutto per la scomparsa della madre, rinnovando un rapporto umano da tempo perduto col padre, cercando di tirare avanti economicamente tramite una casa da tè gestita con l’amica Belle, la storia di Rakhi è il percorso di ricerca, non priva di toni psicanalitici, della sua identità di persona e di definizione del ruolo di appartenente a una comunità di origine bengalese sebbene sia nata ìn America e sia partecipe della cultura statunitense, cresciuta intenzionalmente dalla madre senza nostalgia per il continente asiatico da cui la famiglia ha origine. Allo stesso tempo si ricompone il passato materno d’iniziazione all’interpretazione dei sogni, abbandonato per scelta a favore del matrimonio; prevale nell’incertezza, anche dopo la morte, se ciò che la madre narra in un diario lasciato alla figlia e al marito sia vero o inventato, forse un delirio, forse una verità insolita. Allo stesso tempo si ricompone la storia trascorsa del padre prima di lasciare l’India e si riattiva un suo presente di solidarietà con la figlia e la comunità.

È un romanzo complesso, sospeso tra tre assunti: società, vicenda personale, il rapporto tra realtà e fantasia.

In quest’ultimo campo compaiono figure che potrebbero essere solo allucinazioni, come un misterioso individuo vestito di bianco, che quando viene conosciuto di persona da Rakhi mantiene il suo mistero. Nell’economia della narrazione ciò è probabilmente dovuto alla necessità di mantenere la storia al confine tra il credibile e l’improbabile, una sorta di inspiegato, come se esistesse un “dream time” (p. 184), espressione forse presa a prestito, ad ogni buon conto coincidente con quella delle mitologie degli aborigeni australiani, un tempo in cui la realtà si determina diversamente da come la si percepisce nella quotidianità. Il problema è la coesistenza di “reality” and “fantasy” (p. 191), la confusione e la separazione tra queste due dimensioni.

I sogni sono analizzati col sistema indiano (esempi dei significati simbolici alla p. 76), ma la coscienza dei metodi occidentali è indicata con la citazione dell’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI di Freud (p. 49).

Le voci narrative sono intrecciate e distinte: Rakhi è protagonista in terza persona tramite un narratore onnisciente in capitoli che si alternano alla resa degli eventi in prima persona. Personaggio che dice io è anche la narratrice del diario dei sogni, la madre. La riflessione sulla narrazione è spesso presente con domande sul senso delle storie e sulle loro funzioni.

Romanzo di vita vissuta e di raffinata letteratura, opera in un realismo magico destinato non certo a evadere ma a prendere coscienza della complessità del mondo.

Un sito dedicato all’autrice è a http://www.chitradivakaruni.com/.

[Roberto Bertoni]