25/06/07

Marie-Louise von Franz, IL FEMMINILE NELLA FIABA


[One of seven as in the fairytale. Foto di Marzia Poerio]




















Torino, Bollati Boringhieri, 2007 (ristampa dell’edizione italiana del 1983, in parte rivista dall’autrice. Originalmente concepito per un seminario nel 1959, poi pubblicato in edizioni aggiornate in inglese, tedesco e francese rispettivamente nel 1972, 1977, 1979).

La chiave interpretativa principale utilizzata da von Franz per le figure femminili delle fiabe è quella delle proiezioni di due componenti junghiane dell’inconscio: l’Animus (il maschile nel femminile) e l’Anima (il femminile nel maschile), entrambi con aspetti positivi e negativi. I due concetti sono interconnessi nelle fiabe; e ciò che prevale è l’uno o l’altro, a parere della psicanalista, a seconda di chi tramanda la storia.

In questa cornice principale si inseriscono gli archetipi, tra i quali ricorre, nella rappresentazione del femminile, soprattutto la Grande Madre, legata al mito di Demetra (la madre-natura) e Persefone, la figlia che scompare negli Inferi sposa di Plutone d’inverno quando la natura si inaridisce per tornare ubertosa al riapparire in Terra della ragazza in primavera: LA BELLA ADDORMENTATA “non è che una variante particolare” di questo mito (p. 20).

Su tali basi, si identificano nevrosi specifiche.

Commentando la favola di Rosaspina, von Franz rileva: “Nelle vesti della fata cattiva, la dea-madre è la personificazione dei sentimenti feriti e inaciditi”; ciò corrisponde a “un problema tipico della psicologia femminile”, consistente nella difficoltà di reagire a una ferita dell’ambito sentimentale e nell’essere preda della negatività dell’Animus, che spinge chi ne è vittima a rimproverare e a vendicarsi. Si tratta di un “complesso materno negativo”, che incita all’“amarezza” e al “risentimento”, ripercorrendo il modello della “dea oltraggiata” (p. 37).

Esaminando la favola di Biancaneve e Rosaspina, viene messo in luce “il problema della pietà fuori luogo, il fatto che le donne sono portate inconsciamente a soffrire a causa della virtù che è caratteristica dell’istinto materno, la pietà” (p. 71), il cui eccesso in casi mal riposti può essere deleterio quanto la sua assenza.

Nelle fiabe si stagliano eroi e eroine: essi rappresentano “una connessione archetipica tra l’Io e il Sé” (p. 27), da ritrovarsi poi nella vita concreta degli individui, nei quali spesso, quando sono in difficoltà, si riscontra, e non solo nelle psicosi e nevrosi, “un Io che non funziona in armonia con la totalità psichica, ovvero col Sé” (p. 26). Ad esempio, l’eroe che libera la Terra da un incantesimo di aridità raffigura il flusso vitale ritrovato. L’eroe è l’Io, cioè “lo strumento dell’incarnazione del Sé”. Questa e altre funzioni narrative sono allegorie delle forze interiori, personali e sociali.

Accanto ai tratti sopra citati si profilano i simboli (tra i quali il mandala, l’uovo, il diamante, la palla d’oro, la scoperta del tesoro, il bambino, p. 28), con variazioni particolari e contestuali all’interno delle disparate narrazioni a partire dalle generalità significative che hanno in comune.

Si ricorda la foresta nella fiaba LA FANCIULLA SENZA MANI: “vivere nella foresta corrisponde, psicologicamente, a immergersi nella più profonda interiorità del proprio essere per farne la scoperta” (p. 93). Il ritiro nell’interiorità pare a von Franz un tema femminile; in contrasto con una più frequente tendenza alle “imprese”, che sembrerebbe invece propria del comportamento maschile (p. 101).

IL FEMMINILE NELLA FIABA è un libro con cui si può o meno concordare, ma che invita a un viaggio nella dimensione affascinante delle narrazioni per trarne costanti di comprensione umana, esistenti accanto ad altre interpretazioni, anch'esse possibili e valide, nate da discipline diverse dalla psicologia analitica.

Per concludere si lascia la parola all’autrice, non perché si condivida o meno totalmente la sua impostazione, ma solo per metterla in evidenza, citando da un paragrafo che, avente per tema la cattiveria in relazione alla fiaba VASSILISSA LA BELLA (una versione di CENERENTOLA), mette in questione le convinzioni diffuse sull’innocenza:

“Tanto più si conosce la propria cattiveria, tanto più si è capaci di proteggersi da quella degli altri. […]. Le persone che si lasciano maltrattare dagli altri sono o molto giovani, o troppo candide; ma soprattutto esse sono indirettamente responsabili di ciò che accade loro, non hanno sufficiente coscienza del male che hanno in sé. Se l’avessero, acquisirebbero una sorta di percezione intuitiva del male negli altri e non presterebbero il fianco. [...] Lo sciocco idealista che si lascia imbrogliare da tutti può essere aiutato non con la pietà, ma conducendolo alla sua Ombra interiore” (p. 187).


[Roberto Bertoni]