Oggi è giorno di gran mercato e la città è invasa da contadini, pastori, soldati, storpi elemosinanti, zingari e ladruncoli.
Prima di attraversare la strada per raggiungere i cancelli, lascio passare un carro tirato da due cavalli bardati a festa con sonaglini e nappe rosse alle tempie: l'uomo che lo lancia tra la folla ha in testa un cappellaccio da zingaro ungherese. Dietro di lui un bimbo, che alla maniera balcanica indossa nella canicola un berretto di lana spessa, sobbalza sul carico di angurie trasportato dal padre. In queste settimane sulle strade di Romania corrono enormi carichi di cocomeri e meloni; ad ogni angolo le venditrici adescano i passanti spossati dal caldo e dalla polvere con le rotondità promettenti dei bei frutti estivi.
Davanti ai cancelli, un crocchio di ragazzi zingari s'agita alla vista della videocamera che mi pende al collo. Spingendosi tra loro, mi stringono addosso un circolo sempre più serrato di corse e rincorse, poi uno mi urta da dietro, un altro mi tira per un braccio verso terra, ma sono troppo alta e restano disorientati dai miei rimproveri in perfetto romeno di mahala. Mi guardano incuriositi con i loro occhi da adulti, occhi che hanno visto molto, molto più di me e della mia videocamera. Decidono di accompagnarmi dentro il mercato nella speranza di un piccolo compenso. Anzi, adesso si strattonano sul serio per guadagnarsi la supremazia, il privilegio di guidare là dentro la straniera che parla la loro lingua e che forse sgancerà qualche leu; tanto si sa che le donne prima o poi finiscono per commuoversi.
Pago l'entrata alla guardiana. È una zingara rifatta, dal bel viso austero, con i capelli corti, arrangiati. Una mazzetta ben salda nella mano sinistra, con la destra sfoglia rapida le banconote e distribuisce resti contemporaneamente a me e ad altre due persone.
Entro e mi s'apre davanti un parco dell'assurdo, dove il caso e il bisogno hanno raccolto e assemblato con capriccio ogni genere di merce.
In questo inconsapevolmente ironico cimitero postmoderno dello sviluppo anarchico delle merci e dei relitti della società dei consumi, pentole, cocci, dischi, cassette, biciclette, sementi, abiti, scarpe, motori, legname, croci funebri e quant'altro stanno insieme ben allineati con precisione farmaceutica o ammucchiati come immondizie pronte alla discarica, circondati da un pullulare frenetico di acquirenti e curiosi. Per quali strade i nostri rifiuti, spremuti anche dell'ultimo succo, sono arrivati fin qui, ai piedi di queste zingare sonnacchiose occhi-di-gatta, tra le mani di questi uomini Robinson in cerca di molle, viti e chissà cos'altro per meglio organizzare la propria sopravvivenza?
Un bambino mi trascina davanti a una grande zingara seduta tra abiti e stracci. Vuole che la riprenda con la camera, perché si sappia come s'è ridotta una delle migliori cantanti del paese.
La donna civetta con l'obiettivo e inizia a raccontare, vuole che io capisca che la sua vita è un romanzo. Si chiama Nuşa e viene dal Gorj, culla delle cantanti popolari più apprezzate. Canta da quando aveva tredici anni, di tutto… romanze, musica popolare, ballate del Banato, serbe, qualunque cosa. È arrivata fin qui in Dolj per amore: s'è maritata con un uomo a posto, un violinista virtuoso. Tutti, in famiglia, sono musicisti, anche il figlio. 19 anni, vedesse che bellezza! Occhi azzurri e gran fisarmonicista. È stato in Francia e ha suonato nei bar, nei caffè.
Oggi, però, non è più come un tempo… Nuşa ha cantato anche per uomini importanti. Intellettuali… politici… insomma, capisce?, gente… gente d'onore! Ma che fare, adesso non è più come una volta. La gente non ha più soldi per i matrimoni. Certo, si continua ad andare alle nozze, ma più raramente.
Ogni tanto, a guardare le fotografie dei vecchi concerti, non le viene da credere di essere proprio lei. No, grazie, no, non è più bella come da ragazza, ora ha 49 anni, ma una volta tutti la corteggiavano. No, non ha inciso dischi, la voce c'era, anche la bravura, ma è stata stupida, non ha saputo approfittare del momento.
Nuşa mi dà il suo indirizzo, il numero di telefono, non si sa mai, ripassasse la signora straniera da Craiova, ecco, allora, potrà chiamare. Quando vuole, signora, mi telefoni e io vengo, con mio marito e mio figlio. Non voglio niente da lei, solo per dilettarla. E sentirà una musica che non ha mai sentito.
NOTA. Lessico: mahala - borgata, periferia; leu -“leone”, moneta nazionale; Nuşa -pron. Nùscia