17/05/07

ORFEO E LE SUE METAMORFOSI. MITO, ARTE E POESIA


[I was window shopping in the streets of London when I saw this - Cocteau's Orphèe's Lyre - the real thing, not a reproduction. Foto di Marzia Poerio]













Ci sono vari interventi in questo libro a cura di Giulio Guidorizzi e Marxiano Melotti, (Roma, Carocci, 2005). James Hillman scrive sulla trasformazione degli dèi in costellazioni della memoria culturale collettiva e sulla presenza di Orfeo negli odierni atteggiamenti pacifisti ed ecologisti. Sui tratti iniziatici e negromantici del mito si esprimono Claude Calame, Walter Burkert e Christopher A. Faraone. Le sopravvivenze le riscontrano Ernesto Napolitano nel FLAUTO MAGICO, Pierre Brunel nella letteratura francese del XIX e XX secolo, Gioachino Chiarini nell'arte figurativa e Giuseppe Pucci nel cinema. Introducendo brevemente il saggio di Brunel, Giulio Guidorizzi mette in luce le tre correnti della ripresa delle simbologie orfiche: "Orfeo sciamano, Orfeo violatore del mondo sotterraneo e Orfeo vittima del suo errore che gli fa perdere per sempre Euridice e con essa l'amore" (p. 13).

Del significato sociale dell'orfismo, Melotti mette in rilievo "l'esito della catabasi: Orfeo non fa ritorno insieme a Euridice non solo perché infrange un tabù comportamentale, ma anche e soprattutto perché il mito intende sottolineare l'acquisizione di uno statuto marginale permanente che esclude Orfeo dal mondo sociale della sessualità riproduttiva" affinché egli possa trasformarsi in veggente, in mantis. Per questo annienta Euridice: il suo sguardo la "cancella dal mondo fenomenico". Ecco com'è l'occhio di Orfeo:

"[...] magico, attivo e passivo a un tempo. Quale elemento attivo è offensivo: è uno sguardo di morte, gorgonico, capace di offendere. Quale elemento passivo è un non-sguardo, simile a quello del cieco. Orfeo guarda Euridice, ma non la vede, l'annulla e vede soltanto il buio. Il suo sguardo antisociale elimina la sposa e la disaggrega dal mondo del matrimonio, della famiglia, della comunità, della polis. Così facendo Orfeo si cristallizza nella sua funzione di individuo speciale che vive in una pericolosa marginalità antisociale, che diviene però uno strumento di comunicazione con il mondo altro. [...] Orfeo è un mediatore tra i mondi e per questo è pericolosissimo" (pp. 93-94).

Servendosi di riscontri comparativi con altri racconti della cultura arcaica ellenica come pure di culture altre da quella greca, ma a essa poi tornando, Maurizio Bettini prova a rovesciare in ottimista il significato normalmente interpretato come negativo del rapporto di Orfeo con la morte. Il mito pare dirci che "la morte sarebbe stata sicuramente sconfitta, in pratica lo era già, se non fosse stato per uno sguardo, un fraintendimento" (p. 111). Ciò può significare che gli esseri umani, nel tentativo di sconfiggere la morte, sono destinati a fallire; ma anche che invece la morte può essere sconfitta se si riusciranno a superare i fraintendimenti; e questo ottimismo è forse ciò che rimane nell'atteggiamento della medicina moderna, se questa riuscisse a superare le cause contingenti che impediscno la vittoria su thánatos. L'idea moderna che la morte non sia naturale esiste "in culture anche molto lontane dalla nostra" (p.112).

A parere dello scrivente, una delle opere più interessanti del Novecento è LE TESTAMENT D'ORPHÉE di Cocteau. Commentando la versione cinematografica, Pucci la interpreta sostenendo che l'angoscia del protagonista nasce dal sentimento della mancanza della poesia, o meglio della fama e degli onori che da essa derivano: "diciamolo, questo Orfeo è un egocentrico che ama solo se stesso, [...] è un Narciso" (p. 171), come indica anche la figura dello specchio, attraverso il quale Orfeo nella pellicola entra nella dimensione dell'oltreterra.

Il volume non cerca giustamente un approccio sistematico ed esaustivo; riesce perciò a proporre a chi legge frammenti di interpretazione diversi l'uno dall'altro e coesistenti nelle sfaccettature che caratterizzano ogni mito diffuso nella cultura umana e ripreso continuamente nel corso della storia.

[Roberto Bertoni]