15/05/07

Gabriela Fantato, QUALI POETI, QUALI POETICHE OGGI?

Verso un realismo intensivo?

La poesia che mi interessa è quella che sa cogliere nel visibile una tensione verso l’invisibile, che è trama di senso del reale che solo la lingua poetica è in grado di afferrare: per questa poesia conio il termine realismo intensivo.

Questo che non significa volere identificare in Italia una nuova poetica unitaria (ogni autore declina in maniera personalissima la sua scrittura), ma cogliere l’emergere in certa poesia contemporanea di una poesia che, partendo dal reale, nel suo darsi contingente, sa insieme cogliere l’eccedersi del reale stesso in una tensione che scaturisce dalla e nella relazione tra Io e mondo.

Unitamente a ciò vedo una “potenza” espressiva di questa poesia nel saper dare “corpo” alla lingua poetica, accettando anche con ciò la responsabilità dell’io che scrive di affermare una visione del mondo.

Questa poesia - di cui poi citerò alcuni esponenti - credo possa portare al di là della frammentazione e del disorientamento che segnano - e hanno segnato in questi anni - il “balbettio” a volte sconnesso, spesso intimista e diaristico, a volte anche afasico, di certa poesia italiana, edita sovente da “grossi editori”, e penso a Mondadori, Einaudi, Garzanti e Guanda.

Ci sono alcuni poeti che si pongono in una direzione di scrittura che mette al centro il rapporto (mobile, chiasmatico e problematico) tra soggetto e realtà, tra concretezza e visione, tra individuo e molteplicità in una poesia che si assume il compito di essere non lo ‘specchio’ della storia privata dell’autore, ma l’espressione dell’esperienza vissuta, toccando grandi temi della vita proprio a partire dall’esperienza (singola e singolare), e lo fa senza essere però ‘poesia civile’, nel senso consueto del termine, il che non avrebbe senso oggi. La lingua di questi poeti è potente: nasce dal confronto frontale col reale, con l’esperienza, ma si fa capace di tendersi oltre la mera soggettività diaristica. Credo di poter dire che si muove in questa direzione anche la mia personale ricerca poetica, così come quella di alcuni redattori di “La Mosca di Milano”, poeti su cui non mi soffermo per ovvi motivi.

Il realismo intensivo di cui parlo è ben lontano sia dal realismo mimetico e descrittivo del nostro Dopoguerra, sia dal realismo di testimonianza o denuncia che ha connotato la poesia negli Anni Settanta. Vedo delinearsi in alcuni poeti un insieme di fattori che sono “nuove strade” di scrittura che pongono la possibilità di nuovi sviluppi per la poesia, fuori dalle secche del nichilismo e minimalismo del secondo Novecento. A quali autori penso, dunque? Tra i molti, penso a Umberto Fiori e Guido Oldani, come poeti esorditi già negli anni Ottanta.

In Fiori - da ESEMPI sino a LA BELLA VISTA - vedo quello che chiamerei “realismo ottuso” (con riferimento al termine di Amelia Rosselli), in quanto l’esperienza individuale è scontro con l’insensatezza dei dati tangibili e con la mancanza di comunicazione: il senso pare espropriato e, forse per questo, la scelta di Fiori va nella direzione della “chiarezza” e la sua lingua si fa essenziale e ‘cruda’. Per quanto riguarda Oldani parlerei, invece, di un realismo di “contusione”: il poeta da STLNOSTRO a SAPONE ci propone un soggetto che si conosce proprio nell’incontro-scontro col reale babelico ed eccessivo, che assedia l’identità delle persone e delle cose stesse. La lingua poetica di Oldani - spesso in un modo ironico pirandelliano - coglie il paradosso dentro il senso comune del mondo e per questo la sua poesia assume valenza aggressiva, persino “urtante” per il lettore che viene chiamato in causa frontalmente.

Segnalo altri autori, più giovani, appartenenti alla Generazione Sommersa di cui ho scritto altrove (SOTTO LA SPUPERFICIE. LETTURE DI POETI ITALIANI CONTEMPORANEI, Milano, Bocca, 2004): il dialettale Edoardo Zuccato che ne LA VITA IN TRAM col suo realismo “sommesso” sa dirci di vicende vissute individualmente che svelano la loro sostanza umana e la tensione lirica trova nuova forza nel dialetto, per cui l’esperienza privata diviene punto di sguardo sulla vita e sul mondo.

Altri ancora, come Corrado Bagnoli e Mauro Ferrari che, seppure con diverse accentuazioni, hanno in comune una sorta di realismo “riflessivo”: Bagnoli sia in TERRA BIANCA e NEL VERO DELLE COSE, sia in FUORI I SECONDI, immerge la riflessione sulla fragilità e frammentazione del vivere in scene quotidiane, dove l’attenzione al dato concreto e il dialogo con l’altro creano una sorta di “epica del quotidiano” in una lingua piana ma efficace. Ferrari in NEL CRESCERE DEL TEMPO, partendo da vicende individuali e corali insieme, dà conto della natura antitetica del mondo, così che la dinamica di mutamento intrinseca al reale - l’essere liquida o solida della materia, la stasi e il movimento - si intrecciano alla riflessione sul tempo, in una lingua sempre misurata e dal ritmo lento.

Ricordo più rapidamente, per motivi di spazio, altri poeti: Giancarlo Sissa, che continua anche con MANUALE DI INSONNIA la sua ricerca di ritmo e dicibilità in una poesia che fa della vita privata una “storia” che sa dirci il sentire di un’epoca; Pasquale di Palmo che, grazie al lampo dell’intuizione, in RITORNO A SOVANA legge in ogni elemento concreto un telos che permea il reale e ne costituisce la trama di senso. Poi Gianfranco Laureano che in OCCORREVA CHE NASCESSI fa una poesia che è “lingua degli affetti” che sa parlarci come “lingua della vita”, aldilà dell’esperienza meramente privata; Elio Grasso, che nel suo recente poemetto TRE CAPITOLI DI FEDELTÀ fa della relazione amorosa il “luogo” privilegiato per una poesia che svela il doppio tempo (relativo e assoluto) dell’esistenza; poi Luigi Cannillo che con CIELO PRIVATO ci offre scene di vita cittadina in cui l’esperienza individuale conserva le tracce di quella collettiva e la memoria si fa anche riflessione sul presente.

Ricordo anche altri miei saggi, comparsi appunto in SOTTO LA SUPERFICIE, su Jolanda Insana e il suo “realismo tragico”, su Adam Vaccaro e Lucetta Frisa, per i quali è centrale a mio avviso l’esperienza del corpo che in poesia si fa ricerca del potenziale metamorfico della lingua.

Infine cito il lavoro di due poeti che stimo tra i più giovani: Stefano Massari, che in DIARIO DEL PANE, grazie ad uno sguardo “spietato” sul reale, approda a una scrittura scabra, piena di scarti perturbanti il senso; Robetta Bertozzi che in “Il rituale della neve” dice come nella fragilità della vita, in ciò che è in ombra, persino incompiuto, si annida un senso complesso e da svelare.

Penso anche alla potenza visionaria e insieme concreta dei versi in dialetto calabrese di Alfredo Panetta, dove sono al centro la ruvida corposità del mondo e la violenza delle passioni, infine mi pare interessante la tensione poematica della poesia di Roberto Mussapi e, soprattutto, penso a due giovani poeti che scrivono in chiave poematica: Luciano Neri, che in NOTIZIE DALLA HAVEN, con la sua scrittura visionaria non fa del viaggio una metafora della vita, ma “il luogo” di una riflessione sulla stessa, dandoci “notizie” sul desiderio e la fragilità umana; Tiziano Fratus che, da LUMINA a IL MOLOSSO realizza una scrittura sterminata che attanaglia il lettore e le parole stesse: lo straniamento e l’eccesso babelico del mondo in questo poeta emergono nel corpo stesso della parola poetica e nel suo stesso strutturarsi.

Che cosa accomuna questi autori?

Il fatto che la loro poesia non è né sparizione o sbiancamento dell’io, né “sguardo di superficie” sul reale, che approda per molti autori editi da case editrici nazionali a meri quadretti di vita, chiusi in se stessi e slegati, dove l’esperienza del mondo è ridotto a storia minima, quotidiana e personalissima dell’autore senza visione sul mondo.

Inoltre, non vedo in questi poeti la tentazione di cancellare io e mondo in una sorta di “lingua afasica” che, alludendo a una dimensione cosmica e indicibile, sfocia poi di fatto nel bamboleggiarsi in una pura evocatività di immagini, come accade a molta poesia che si auto-dichiara neorfica.

Come dicevo, non si può parlare di realismo intensivo come di una poetica unitaria: è più che altro un’indicazione di scrittura che segna la poesia italiana contemporanea che si fa ascoltare e merita un approfondimento: l’indagine puntuale sui testi va affrontata con calma.

Forse, è davvero necessario una “comunità inattuale”... che inizi i lavori di lettura critica e sappia farsi “parola autorevole” di valutazione e lettura attenta della poesia contemporanea, aldilà delle scelte editoriali ormai ben connotate nel loro dar voce a certo “canone” di cui si diceva , ma anche al di là della latitanza di tanta critica accademica attuale.

NOTA

Il brano sopra riprodotto è stato scritto per il convegno di riviste IL FUTURO CERCA IL FUTURO, tenuto a Firenze nel 2005 presso la Fondazione "Il Fiore".

Gabriela Fantato è autrice di parecchie raccolte poetiche, tra cui le recenti NORTHERN GEOGRAPHY, con traduzione inglese, Stony Brook (New York) e Monte Compatri (Roma), Gradiva, 2002; e IL TEMPO DOVUTO 1996-2005, Roma, Editoria & spettacolo, 2005. Ha scritto numerosi saggi critici, dirige la rivista di poesia, arte e filosofia "La Mosca di Milano" e collabora con altre redazioni. Per il teatro ha scritto testi in versi, tra i quali LA BELLA MELUSINA, Roma, Teatro Quirino, 1998; e ENIGMA, Milano, Piccolo Teatro, 2000.