04/03/07

Antonio Scurati, LA LETTERATURA DELL'INESPERIENZA. SCRIVERE ROMANZI AL TEMPO DELLA TELEVISIONE



[I wish I could still write. Foto di Marzia Poerio]









Antonio Scurati, LA LETTERATURA DELL'INESPERIENZA, Milano, Bompiani, 2006


Si tratta di una riflessione stimolante sul mondo attuale e sui compiti dei letterati, utile e con spunti di riflessione, alla quale in parte si è reagito con adesione, in parte con differenziazioni. Vediamo.

Secondo Scurati, la relazione tra la letteratura e l'esperienza si è persa e non è ricomponibile "non perché manchi la commessura tra di esse ma perché sono perfettamente identiche" (p. 9). Il mondo è espresso sempre più dagli onnipresenti mezzi di comunicazione e vissuto in modo virtuale, al punto che, come già per Baudrillard, sembra decomporsi, frammentarsi in vari universi, relativizzarsi e rifluire nelle astrazioni che arrivano in certi casi a sostituire le percezioni sensoriali corpose e concrete. I narratori dovrebbero partire da questa constatazione per scrivere: "Oggi il problema si riformula così: come trasformare in opera letteraria quel mondo che è per noi l'assenza di un mondo. Il mondo non c'è, e per questo diventa urgente raccontarlo" (p. 20). Indubbiamente è qui colta l'inautenticità delle rappresentazioni mass mediali e informatiche della realtà, nonché l'ambiguità determinata dalla commistione tra virtuale e reale. In tal senso il saggio costituisce un grido d'allarme per correre ai ripari.

È vero che il rapporto tra realtà e immaginazione è in certi casi diventato "perverso" (p. 30); e che "la comunicazione globale elettronica in tempo reale istituisce un universo confusivo" tramite (Scurati qui cita Perniola) "l'esposizione sfrenata ed esorbitante di tutte le possibili varianti del linguaggio" (p. 25). Interessante il riscontro di una tendenza all'"inconoscibilità del mondo" visibile, ad esempio in certa narrativa di "intreccio oscuro" (p. 29). Valido il concetto che "oggi ci affidiamo [...] al sapere implicito [...] dei nuovissimi dispositivi tecnologici" (p. 42). Condivisibili le riflessioni sulla banalizzazione mediatica della tragedia esibita nei talk-show più che nell'esperienza concreta che ne fa chi la subisce.

Però va notato che la realtà esiste e come: strano che per dimostrazione del discorso venga tra l'altro portato ad esempio l'11 settembre, che se da un lato è stato un evento essenziale di indubbia proiezione mediatica, è soprattutto tragicamente e realmente esistente e visibile con le sue vittime e le sue rovine che influiscono sulla vita di noi tutti ancor oggi sull'intero pianeta. Insomma, ove le riflessioni di questo libro vengano estremizzate, come in diversi passi accade, si tende a cadere nell'idea che il reale abbia perso ogni statuto, un'idea non corrispondente ai riscontri dei sensi, per lo meno finché durerà la nostra esistenza in quanto esseri umani, non (ancora) innestati con le macchine. Risulta un'esagerazione, possibile solo come paradosso, dire che "la distinzione tra il finzionale (fictional) e il fattuale (factual) non è più rilevante, prima ancora di non essere possibile" (p. 24). In alternativa alle idee di Scurati, a questo livello, l'estensore delle presenti note è propenso a ritenere che le ideologie siano più facilmente manipolabili che in passato con le nuove tecnologie; e nel mondo dei mass media e dell'internet si combatta una battaglia di egemonia.

Sembra di intuire da un passo del saggio di Scurati che le affinità culturali nel mondo virtuale esprimano un "bisogno di comunità" (p. 18) senza una concreta realizzazione pratica. Tale argomentazione è in parte coerente se si pensa al concetto di falsa socialità del virtuale, ma è al contempo discutibile se si considera che il virtuale, soprattutto il web, apre possibilità di contatto tra intellettuali e consente la formazione di gruppi anche sopranazionali, può insomma essere uno strumento di discussione che ravvicina la distanza, diventando un tramite verso il mondo reale nell'ambito della prassi.

Nel volume viene citata la prefazione al SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO di Italo Calvino varie volte: quelle parti, in particolare, in cui l'autore ligure sosteneva che con la guerra e la Resistenza nasceva una maggiore possibilità per gli scrittori. In contrasto con la calviniana letteratura delle "esperienze di vita", Scurati delinea la propria concezione dell'inesperienza attuale, punto di partenza degli scrittori odierni. Si potrà tuttavia ricordare che con l'ottimismo della ragione, nel Calvino del dopo boom, l'idea che l'alienazione nasca dalla società industriale si collegava alla possibilità dell'immaginazione ampliata che da essa deriva e all'uso delle potenzialità di una situazione anche negativa per una scrittura di liberazione. In LA SFIDA AL LABIRINTO, infatti, Calvino scriveva:

"Mi premeva di parlare dell'altra possibilità che si apre alla letteratura di fronte alla prima rivoluzione industriale: accettarne la realtà anziché rifiutarla, assumerla tra le immagini del proprio mondo poetico, col proposito - che già la cultura filosofico-politica ha fatto proprio - di riscattarla dalla disumanità e inverarne il significato finale di progresso" (UNA PIETRA SOPRA, Torino, Einaudi, 1980, p. 86).

Giocare col fuoco? Oppure, costruendo sull'idea di Calvino, ciò che egli sosteneva è in definitiva possibile ancor oggi? Proprio perché, come scrive Scurati, "che ci piaccia o non ci piaccia, la cultura di massa siamo noi" (p. 47), tanto che non è più proponibile sottrarsene, starà a noi, ritiene chi qui conclude questa pagina in rete, proporre diversamente rispetto alle ideologie dominanti, utilizzando la tecnologia che anch'esse adoperano, in breve cercando il positivo nel negativo e il reale nel virtuale. Calviniana "utopia pulviscolare" quanto si voglia... ma praticabile e utile a nostro avviso.


[Roberto Bertoni]