27/06/19

Roberta Dapunt, SINCOPE

["The olive trees were cut..." (Lerici 2019). Foto Rb]




Roberta Dapunt, Sincope. Torino, Einaudi, 2018

Il dizionario Treccani definisce sincope come “sospensione, per lo
più transitoria, della coscienza” nel campo medico; e “in linguistica, caduta di un suono o un gruppo di suoni all’interno di una parola” [1].

Il primo significato lo troviamo nella poesia intitolata “sincope 1”, ripetuta anche in copertina:

“Lì, in fondo ad ogni ultimo verso
improvvisa è la perdita di coscienza.
Lettore, io emetto suoni su tempi deboli,
che siano essi di giorni riposti o demenza,
così l’alcol, così l’amore  e la morte.
Sono queste le mie verità,
lasciano visioni accese persino al gelo notturno.
Che nella notte, io le rumino,
ma nel giorno, io di loro mi alimento” (p. 37).

Una dichiarazione di poetica che tiene conto tanto dell’aspetto stilistico (i “tempi deboli”), quanto della registrazione di eventi interiori e del passaggio delle vicende della quotidianità, queste ultime ribadite anche altrove, in particolare in “del vivere consueto”, in cui la normalità dell’esistenza diventa elemento di canto:

“Io ti parlo, da semplice condizione,
senza narrazioni sacre di avvenimenti,
senza i racconti in dottrine di imprese e di gesta,
senza le origini di dèi e di eroi.
Riservato campo il mio, in cerca solamente di zitte presenze,
e del comune esistere, poiché il tempo
in questo luogo è morsa di accadimento sempre uguale” (p. 28).

La “caduta di suoni” del secondo significato di sincope si rileva nello spesso citato silenzio, per esempio le zitte presenze qui sopra; e in “delle solitudini II”:

“È condizione di chi fugge il silenzio. E la solitudine
unico lasciapassare che non sarà chiesto” (p. 47).

Se il silenzio, nellultima citazione, si associa a solitudine, in un altro componimento, senza titolo, è denotato dall’assenza:

“Lontana sono dal mondo, ciò che vedo, leggo,
è tempo scorso, minuti finiti. Che sempre,
fuori così tanto succede fino al racconto
e ogni volta io sono stata assente” (p. 27).

L’area tematica della maggioranza delle poesie della raccolta comprende il corpo e un io che tenta di definirsi nel rapporto con l’esterno e con l’interiorità.

In “Fego”:

“[…] sono io
quel silenzio di mura, quella chiusura di porte,
oscuramento io della ante accostate, la conta dei camini spenti,
quel paese del nulla succedere […]” (p. 9).

In “del corpo I”:

“[…] davanti ad ogni mattino
io cerco un fardello d’incanto
e non trovo che un animo deforme”

[Roberto Bertoni]


[1] http://www.treccani.it/vocabolario/sincope/.