29/01/18

Banana Yoshimoto, IL GIARDINO SEGRETO


[Japanese element in Powerscourt Gardens (August 2017). Foto Rb]


Banana Yoshimoto, Il giardino segreto. Prima edizione giapponese 2005. Traduzione in italiano di Gala Maria Follaco. Milano, Feltrinelli, 2018

Si ritrovano in questo romanzo motivi ricorrenti nella Yoshimoto del ventunesimo secolo: la rottura dei rapporti amorosi, l’omosessualità, l’affetto platonico tra persone di generazioni diverse, la magia e la divinazione, lo scorrere degli attimi sotto una patina di riflessioni spesso banali sulla vita, che hanno il compito di arginare i drammi personali, confermando il vuoto, forse, sotto un’apparenza di normalità e spingendo verso l’accettazione della vita e del destino individuale. Frattanto si danno simmetrie di situazioni capitate a personaggi diversi che si risolvono in modi distinti, quasi a dimostrare che ogni cammino non conduce necessariamente allo stesso fine.

La storia è lineare nella forma narrativa in prima persona e diaristica, intrapresa dalla ragazza Shizukuischi, assistente dell’anziano e malato sensitivo Kaede, coinvolto in una relazione sentimentale col suo socio Kataoka. Shizukuishi si lascia col ragazzo Shinchiro, che decide di occuparsi del giardino di Takahashi, un amico d’infanzia venuto a mancare e della cui cui madre Shinchiro è innamorato. Atsuko, una ex amante di Kaede instaura un rapporto di empatia con Shizukuishi. La protagonista ricorda la nonna erborista che le ha lasciato in eredità un corallo che l’attrae, per emotività e per una magia di una qualchje sorta, verso Taiwan, il luogo da cui proviene. Riflessioni sul mondo, i sensitivi, la tristezza e il flusso delle cose accompagnano la narrazione.

Qualcuna delle frasi banali buttate lì come se fossero importanti, e che, proprio per questa loro posizione nel testo, lo diventano, sconfiggendo la banalità mentre la enunciano: “è molto meglio affrontare la verità, anche quando è dolorosa come una lacerazione della carne” (p.  88); “quella donna somigliava a una pianta. Aveva anche la determinazione delle piante” (p. 56); “ti sembrerà banale, ma è importante fare esperienze divertenti: possono farti dimenticare persino di essere malato” (p. 46); e le ultime parole del racconto: “naturalmente le stelle, il profilo della montagna e il vento non mi risposero. Del vento restava solo il soffio insieme al gorgoglìo dell’acqua” (p. 136).

[Roberto Bertoni]