[Hanoi 2017. Foto Rb]
Viet Thanh Nguyen, Nothing Ever Dies. Harvard University Press, 2016
Questo saggio ha per
argomento la ricostruzione della memoria della Guerra del Vietnam, o Guerra
Americana per i vietnamiti, o più propriamente, da un punto di vista
prettamente storico, Seconda Guerra d’Indocina (1956-1975). L’autore, vietnamita
nato in Vietnam ma di nazionalità americana, docente universitario che oggi opera
negli Stati Uniti, dichiara fin dalle prime pagine una partecipazione non solo
distaccata di studioso, ma personale. L’asse della discussione è la memoria
della guerra come è stata trasmessa e attivata sia dagli americani, chi ha
partecipato alle operazioni belliche in Asia e chi si è opposto dagli USA, sia
dai vietnamiti, chi ha vinto e chi ha perduto in quella che è stata non solo
una guerra del Vietnam contro gli USA, ma un conflitto tra comunisti e no nel
Sud e tra Nord e Sud Vietnam.
Giustamente, Nguyen
insiste sull’appannaggio americano della memoria di questo evento cruciale per
l’Asia sudorientale e per il mondo, soprattutto perché la macchina della
memoria è anche un’impresa commerciale, per cui i film statunitensi, i romanzi,
i ricordi dei veterani, altri testi visivi e scritti si sono diffusi, con la
loro ambiguità ideologica, basti ricordare Apocalypse
Now, mentre i testi vietnamiti, fondamentali per compattare l’ideologia
della Stato unificato dalla guerra stessa, sono poco noti e non egemoni fuori
dei suoi confini, tra questi film di buon livello culturale, quali The Abandoned Field.
Complesse da gestire, nota Nguyen, le memorie con impostazioni vietnamite non ortodosse, come quella buddhista e pacifista di Thich Nhat Hanh; o le memorie controcorrente di vari scrittori contemporanei.
Complesse da gestire, nota Nguyen, le memorie con impostazioni vietnamite non ortodosse, come quella buddhista e pacifista di Thich Nhat Hanh; o le memorie controcorrente di vari scrittori contemporanei.
Vengono
opportunamente ricordate anche altre versioni del ricordo, per esempio in un
capitolo si passano in rassegna i film e le serie sulla guerra del Vietnam prodotte nella Corea del Sud, un paese
che partecipò alle operazioni belliche a fianco degli USA, e la cui influenza economica
e nel campo dei mass media nel Vietnam odierno è pronunciata, quasi di quella
partecipazione cruenta ci fosse oggi minore traccia di quella degli USA.
Oltre a questo, e più
in profondità, il libro di Nguyen si pone il problema di fino a che punto, e
come, sia possibile venire a patti col passato, restaurando la memoria sia dei
sudvietnamiti che parteciparono con gli USA, di coloro che si sono rifugiati
all’estero e di chi combatté per più di quarant’anni (se si contano anche la
Prima guerra d’Indocina, quella “francese”, 1945-1954, e la Terza Guerra d’Indocina,
ovvero il conflitto tra Vietnam e Cambogia, compresi il breve intervento cinese
e l’occupazione della Cambogia da parte del Vietnam 1977-1991).
Si tratta di una
problematica che va in profondità, domandandosi come sia possibile restaurare
un uso etico della memoria; come l’oblio abbia un peso notevole nella dinamica
dei ricordi; come si possa uscire dai vicoli ciechi del passato ricordando
non solo la propria parte ma anche la parte avversa.
Nguyen ha assorbito,
oltre a proprie riflessioni e alla documentazione approfondita, parecchi saggi
anche occidentali sul tema della memoria collettiva e individuale di eventi
tragici, tra cui Ricoeur e Arendt, opponendosi giustamente alla futilità
decostruttiva e al paradosso della negazione postmoderna degli eventi di Baudrillard.
Nguyen rivela una
profondità nel saggio che, pur provenendo egli da un’esperienza di famiglia
anticomunista, riesce a interpretare con serietà quella parte politica e a vedere l’America vincente
come un aspetto problematico e difficile da interiorizzare anche per i vietnamiti esuli negli USA.
È anche autore di un
romanzo giallo ben scritto, The
Sympathizer (Londra, Corsair, 2015), che segue le vicende di un gruppo di fuorusciti della
gerarchia militare vietnamita, tra i quali s’insinua il protagonista, una spia dello Stato nordvietnamita, inviando rapporti anche parecchi anni dopo la fine del conflitto ai
suoi superiori comunisti dagli Stati Uniti. Quando i fuorusciti mettono in atto
un’azione all’interno dei confini vietnamiti, anche il protagonista viene
arrestato e processato in stile orwelliano, fino a che un compagno di partito,
ora commissario del popolo, riesce a farlo riabilitare e uscire dal paese per
salvargli la vita.
Il romanzo mette in
rilievo la dignità di entrambe le parti, pur dimostrandosi critico della
crudeltà umana e mettendo in atto le difficoltà psicologiche del caso. Questo testo narrativo necessariamente si rivela più
ambiguo del saggio, il secondo essendo dotato di
maggiore obiettività.
[Roberto Bertoni]