Nuoro, Il Maestrale, 2016
L’ultima
trasfigurazione di Ferdinand, di Alberto Capitta, racconta la nascita e
lo sviluppo di una fortissima vocazione artistica. Il protagonista, Ferdinando
Lieber, è un grande attore che ha scoperto il fascino dei mascheramenti sin da piccolissimo
giocando con la cuginetta Margot, ma che durante l’infanzia ha anche sofferto molto
perché il padre non capiva i suoi travestimenti, una volta con un manrovescio
gli aveva fatto cadere il primo dentino da latte. Il bambino e la cugina
fuggono da casa dietro un gruppo di attori seguendo il corso del fiume su un
battello che li dovrebbe portare lontano dal villaggio olandese in cui sono
nati, ma questa prima tappa si interrompe ben presto con un forzato ritorno
indietro. La vita di Lieber non scorrerà mai libera come un fiume, ma sarà
sempre controcorrente. Il romanzo si apre con l’arrivo di Ferdinand Lieber
adulto in un’isola in cui passerà un lungo periodo di riposo: la primavera che
colora quel luogo, la finestra sul mare che si apre sulla tempesta compongono
l’incipit del romanzo e preparano quel periodo di isolamento esposto a tutti i
possibili sviluppi e sconfinamenti.
Sin
dal titolo della prima parte si apprende che Ferdinand ha ereditato il nome da
un fratellino che ha vissuto solo un anno, da bambino ne ha letto il nome nel
cimitero del villaggio natale dove, fissando la lapide di marmo, trascorre
lunghe ore. L’infanzia è dunque segnata dalla presenza di un suo doppio con cui
dialoga incessantemente di notte e che sparirà dopo le ennesime botte ricevute
dal padre. Un giorno non trovandolo a casa la madre lo va a cercare nel
cimitero dove lui si nasconde e un colpo di vento le incolla al volto un cumulo
di foglie; lui si ricorderà all’improvviso di quel volto coperto di foglie
mentre recita nel ruolo di Cassio e quella sarà la sua prima trasfigurazione.
Dall’infanzia
e dalla fuga da casa ci spostiamo direttamente a Parigi dove il giovane Lieber comprende
che, invece di far carriera come avvocato verso cui tutti sembrerebbero
indirizzarlo, deve seguire la sua vocazione d’attore, l’ha tenuta a bada
frequentando teatri vuoti prima dell’inizio della rappresentazione, spiando i
camerini degli attori che gli appaiono come celle monacali. Un giorno finalmente
compie una svolta decisiva, suona il campanello di un palazzo in degrado e va a
cercare il maestro che dovrebbe spingerlo verso la sua vera vocazione in cui è
celata la sua più profonda identità, il teatro. Per diventare se stesso e paradossalmente
uscire da se stesso per interpretare l’altro, dovrà compiere una vera
iniziazione nella casa del maestro, sopportarne il completo isolamento, l’inerzia
e il lerciume abominevole. Dal fondo della sua degradazione e abiezione il
maestro dovrebbe indicargli la strada della sua formazione.
Il
romanzo è ambientato negli anni Trenta, ma la storia e il mondo esterno sono
appena accennati, al centro è invece una trasformazione interiore che avviene
all’interno di una casa in completo disfacimento che sembra
avere qualcosa in comune con la casa di Grandi speranze di Dickens, in cui la tavola imbandita si decompone
lentamente coperta da ragnatele. Eppure quella
casa appestata e afflosciata su se stessa ha da insegnargli tutto, soprattutto
attraverso gli odori che emana:
“All’improvviso
il salone emanò un potente tanfo di escrementi, come se la bolla fosse
finalmente esplosa e tutti gli odori si fossero sprigionati, piscio, frutta,
vino, minestra, sangue e incenso, unguenti e cavolfiore, tutti gli odori lì,
tutti gli odori del mondo, ad avvolgerlo, a confonderlo, ecco, pensò, se
aspettava un segno era arrivato, quello era l’odore del teatro e quella era la
sua casa”.
Sembra
essere questo il primo stadio del processo di individuazione narrato nel
romanzo: dalla putrefazione può nascere nuova vita, il ciclo naturale della
morte e della rinascita sembra avvenire dentro la casa dove Lieber entra in
contatto con gli odori e i germi della vita. Il passo successivo è quello della
stagnazione, in quelle stanze non accade proprio niente, il giovane non può
fare nient’altro se non guardare, osservare, camminare in silenzio attraversandole
tutte, sfiancato da un’attività che non porta a nulla, eppure allo sfinimento
che lo prende alla fine di quella singolare inattività può seguire la strana
sensazione che il soffitto si sia aperto e si possano vedere tutte le
costellazioni. Il cielo stellato pare indicare una direzione come dalla notte
dei tempi l’ha segnata ai navigatori per non perdersi in alto mare.
C’è
quindi il confronto con la malattia: Ferdinand deve assistere il maestro che si
è ammalato, decide perciò di trasferirsi nella sua casa per curarlo e per continuare
a studiare. Durante una partita a scacchi con se stesso, in cui il gatto
sordido che vive in quella casa sembra trasformarsi nel pupazzo del gatto
Adalbert Baginski, cui durante la fuga
da casa sulla chiatta un ventriloquo aveva dato la parola, riprende quel
confronto con se stesso cominciato nell’infanzia con il suo doppio sepolto
nella tomba, e anche qui viene evocato un cadavere, un vecchio cadavere, con cui è necessario misurarsi riconoscendo d’avere
in sé una ferita che prude e che non si rimargina.
Quando
finalmente il maestro guarisce, Ferdinand riprende a girare con lui nelle
stanze, ma tutto sembra non avere un senso, finché un giorno, mentre
volteggiano lentamente per ore nel salotto, sente che il viso gli si è bagnato
di pianto senza sapere perché. Dal balcone da cui finalmente si affaccia vede
una Parigi notturna che per la prima volta mostra le sue luci. Pur evocata
dalle due vie in cui si trovano la sua stanza e la casa del maestro, la Rue de
Pardonnet e la Rue de Chartres e dalle visite fugaci nello studio d’avvocato in
cui lavora, solo ora la città fa la sua breve comparsa nel romanzo. La
formazione teatrale avviene infatti tutta all’interno della casa in cui anche
la luce esterna sembra bandita:
“Là
dentro si rideva, si piangeva, si tramava, si gridava vendetta. Nonostante il
rigore prodotto dai tendaggi, Ferdinand la vedeva illuminarsi, sembrava che il
sole sorgesse dal pavimento, altre volte la vedeva perturbarsi, scossa dai
temporali, accesa dai lampi. Non di rado veniva visitata dal gatto che nel bel
mezzo di un dramma la attraversava da una parte all’altra trascinando il suo
lercio sedere”.
L’ossessiva
misurazione dello spazio col corpo, la continua ricerca della collocazione che esso
ha in uno spazio limitato, si apre di colpo a dimensioni molto più vaste e a
potenti visioni. Tutti quegli esercizi apparentemente inutili, quella ricerca
che sembrava senza senso raggiungono finalmente il loro scopo, il talento dell’attore
riesce a esprimersi sino in fondo e con risultati clamorosi. Tutti i teatri
d’Europa applaudono il suo straordinario modo di calcare le scene e di calarsi
nei più svariati personaggi:
“Cercava
la perfezione Ferdinand. Sapeva, ogni volta che metteva piede su un palco, di
giocarsi la vita. […] lui entrava in quel mondo di sogni in cui si muove la
mente dell’attore. Un mondo di stelle e di minerali duri di cui sono fatti i re
e gli assassini. Ferdinando vi scivolava dentro lentamente. Disseppelliva le
carcasse dei personaggi morti e ridava loro vita. Un esercizio che conosceva bene, aveva
dimestichezza con le tombe; il suo nome era inciso su una lapide ancor prima
che lui nascesse. Li disseppelliva, dunque, e fondeva la sua carne nelle ossa
di quelli. E così, ricoperto di luce e di scaglie e posseduto dal principe o
dal suicida, entrava in scena.”
Ora
che è diventato un attore famosissimo, Ferdinand decide di ingaggiare un domestico
come aiutante e segretario, ma il giovane Maurice riveste in realtà di nuovo il ruolo di doppio; invece di
scrivere sotto dettatura le lettere ai tanti ammiratori e ammiratrici
dell’attore, le reinventa di sana pianta svelando un lato della personalità che
Lieber nemmeno sospetta di avere, dimostra infatti di avere una grande dimestichezza
con le donne, una capacità di conquistarle. La scoperta dell’amore è un altro
passo sulla via dell’individuazione di Ferdinand, innamorandosi per la prima
volta l’attore svela una sua parentela con Cosimo di Rondò e con il suo stupore
davanti alle nuove esperienze con Marcovaldo di Italo Calvino. Con grazia
Alberto Capitta racconta come una nuova luce illumini tutta la vita quotidiana:
“Scopriva
che le parole apparentemente tanto lontane dall’amore erano in realtà più
eloquenti delle stesse parole d’amore. Lo scopriva nei discorsi di ogni giorno.
Mi accompagni? Mi aiuti? Lo facciamo insieme? Erano queste. Quando lei gli
chiedeva di aiutarla ad allacciarsi uno stivale o a ripiegare un lenzuolo lui
sentiva che era quella la lingua dei sentimenti”.
Solo
dopo questa scoperta il mondo esterno fa irruzione nel romanzo, anche se è
appena accennata la presa del potere di Hitler. E all’improvviso il punto di
vista di Lieber viene a essere capovolto, è lui l’attore famoso a diventare
spettatore e ad assistere dalla finestra a una scena capitale, l’esecuzione di
un giovane dissidente. Il gioco di luci e di odori che penetrano dalla finestra
dopo aver assistito a quella scena sconvolge completamente la sua vita e segna
un cambiamento profondo. Dopo questa svolta inaspettata e irreversibile, avviene
il rapidissimo ma significativo incontro con il giovane Albert Camus:
“Un
uomo, in fondo alla via, veniva avanti a capo chino, anche lui a passo lento.
Ferdinando lo riconobbe, era il giovane Camus, un redattore del Paris Soir, anche lui solitario, anche
lui con una stringa slacciata che sbatteva a ogni passo. Si sfiorarono senza
salutarsi. Passarono vicine, le nubi dei loro pensieri per un attimo si
fusero.”
È
significativo che Capitta collochi il romanzo proprio nel periodo storico in
cui in Europa si assiste alla nascita dei totalitarismi e che, facendo comparire
la figura dello scrittore Camus, sottolinei quanto sia necessario per lo
scrittore e l’artista riconoscere e capire quanto la storia sta mettendo in moto
per potersi mettere in gioco. Questo incontro dà un senso nuovo al romanzo
proiettandolo nel presente e mostrando come in momenti cruciali della storia
compito dello scrittore è quello abbandonare la vecchia identità pur
conquistata con tanti sforzi spogliandosi di se stesso e di sprofondare come tutti
gli altri nell’incertezza e nel vuoto per cercare una nuova direzione. Le
bellissime immagini create da Capitta, la continua ricerca di una lingua capace
di toccare sentimenti sottili e di percepire con aumentata sensibilità il mondo
intorno a noi, come avveniva nei romanzi precedenti, si carica di un bisogno
nuovo. Ferdinand non può più stare alla finestra, ma deve camminare per le
strade e raccogliere il dolore del mondo, inseguendo una verità che non può più
trovare solo nel teatro o soltanto all’interno di se stesso. Dolorosa, spiazzante e attualissima la
consapevolezza di non avere una via da seguire ma di essere naufraghi in alto
mare e la scelta per l’artista di non arrendersi, ma di dare vela alle proprie
parole sapendo di trovarsi in mezzo a una tempesta.
[Rossana
Dedola]