13/08/16

Kevin Kwan, CRAZY RICH ASIANS



Londra, Atlantic Books, 2013


Secondo le statistiche di Forbes, nel 2015 Singapore era al ventunesimo posto tra i paesi con il maggior numero di miliardari –  se ne contavano diciannove, una cifra che potrebbe apparire modesta se non si tenesse conto del fatto che la popolazione è di circa cinque milioni e il numero dei milionari è piuttosto alto: più di 150.000 sempre secondo Forbes.

Potrebbe essere anche vero che molti di questi individui conducono uno stile di vita relativamente morigerato, come risulta di un’inchiesta di Reddit. Tuttavia, in contrasto con questa impostazione, l’esibizione del lusso non è aliena a chi vi naviga, come si ricava, nella nostra era di social media, dai post fotografici su Istagram, ove i rampolli di famiglie di affluenza enorme ostentano le merci costose di cui si circondano .

Se nell’istruzione e nell’etica trasmessa, a differenza forse che in altri paesi, la vanità eccessiva e il disprezzo sociale per i non abbienti sono criticabili, e la meritocrazia vige anche tra i privilegiati, è però pur vero, come osservano sociologi e intervistati delle classi medio basse e popolari di Singapore, che i giovani dell’élite partono privilegiati per il background da cui provengono anche in termini culturali, le costose scuole esclusive cui si sono iscritti, le reti di conoscenze, gli elementi extracurricolari, la possibilità di esperienza di lavoro in ditte di primo piano e così di seguito .

Il romanzo di Kwan si occupa proprio di questo strato sociale. È stato un libro di grande successo, a causa del tema e della maniera accattivante con cui è scritto, ma anche perché si tratta di una satira, di una rappresentazione della fiera delle vanità con varie sfumature: dai personaggi che provengono da un passato di modestia e si vietano l’esibizione della ricchezza, a quelli delle nuove generazioni che fanno shopping tra Hong Kong, Parigi, Londra, New York, recandovisi in jet privati, decantando marche dispendiose, partecipando a feste sibaritiche, tenendo un diario dei vestiti indossati per evitare di indossarli una seconda volta per almeno due anni.

L’asse etico è tra chi ricerca autenticità e si realizza nel lavoro, occultando l’appartenenza all’élite del denaro, ma dovendo misurarvisi quando porta, per esempio, la fidanzata, docente universitaria di origini modeste, ignara del lusso del promesso sposo, a conoscere la famiglia che con snobismo la respinge, mentre la ragazza alla fine rompe la relazione, sovrastata dall’oppressione del denaro, dello spreco, delle gelosie intestine tra individui.

L’asse sociale è tra la possibilità di esercitare un ruolo normale nella società al di fuori dell’élite e la condanna di quest’ultima a una vita non sempre nobilmente motivata.

Il libro di Kwan è scritto bene, è intelligente, ha tratti di intreccio da melodramma televisivo (con un sottointreccio nella ricerca delle origini di famiglia della protagonista femminile), ma anche un valore letterario.


[Roberto Bertoni]