09/06/16

Paola Capriolo, MI RICORDO


Firenze e Roma, Giunti, 2015


Il romanzo si svolge in Austria a capitoli alterni, fino alla terza parte in cui le due vicende narrate hanno ciascuna una maggiore lunghezza. Si tratta della storia di due donne, quella della madre Adela, ambientata ai tempi del nazismo e nel periodo immediatamente successivo, e quella della figlia Sonja, che si svolge ai nostri giorni. Solo gradualmente capiamo che le due donne sono legate da un rapporto di consanguineità.

Sonja, per una sincronicità, o forse per destino, e sul piano letterario per meta-narratività, trova lavoro con mansioni di badante di un anziano che vive, da proprietario, nella stessa casa in cui Sonja ha vissuto da bambina. Poco per volta Sonja scopre quel che è accaduto alla propria famiglia. La madre ebrea venne deportata in un campo di sterminio e sopravvisse in quanto costretta a prostituirsi, sposando infine l’uomo che l’aveva amata senza esserne ricambiato, e condotta poi al suicidio. Verso la fine del libro si copre che le lettere che leggiamo nei capitoli alterni erano di Adela, scoperte in soffitta da Sonja. Le lettere erano rivolte a un amore di gioventù della madre, un poeta da lei ammirato e che sul piano junghiano rappresenta il transfert dell’entusiasmo, della vitalità e della bellezza, mentre le morte avviene nell’acqua, simbolica dell’inconscio che contiene anche quanto l’io non sa sostenere.

Se il motivo base è la persecuzione razziale degli ebrei da parte del nazismo, in una dichiarazione, l’autrice rivela di essersi orientata su “due temi fondamentali, apparentemente diversissimi, cercando sulla pagina una loro possibile conciliazione. Da un lato la bellezza, nel suo problematico rapporto con la realtà storica (è un relitto di epoche più spensierate, lontano da noi come le crinoline e i nei artificiali, un’illusione o una mistificazione del tutto improponibile dopo gli orrori del Novecento, oppure è qualcosa che potrebbe addirittura ‘salvare il mondo’, come riteneva Dostoevskij?); dall’altro lato, la memoria”.


[Roberto Bertoni]