05/03/16

Hwee Hwee Tan, FOREIGN BODIES



[Arab Street (Singapore 2016). Foto Rb]


Hwee Hwee Tan, Foreign Bodies. Londra, Michael Joseph, 1997


Tenuto su un tono brillante e ironico, questo volume si presenta a tutta prima come un resoconto picaresco delle avventure giovanili dei protagonisti, che si alternano nella narrazione di capitolo in capitolo: Mei, Andy ed Eugene. Poco per volta, tuttavia, ci si trova in un quadro piuttosto cupo, nonostante la verniciatura stilistica allegra, dei rapporti tra persone e delle persone con la realtà politico-sociale.

Andy, un inglese andato a Singapore su consiglio dell’amico singaporiano Eugene, viene arrestato con l’accusa di avere condotto una bisca clandestina. Chiede a Mei, appena laureatasi in legge, di cui si è invaghito, di difenderlo. Lei propone un patteggiamento, che lui rifiuta, ma scopre infine che a mettere le prove della colpevolezza a casa di lui è stato proprio Eugene per incastrare Loong, un altro singaporiano, protetto dallo status sociale elevato, che aveva di fatto ucciso un amico comune inducendolo a bere una bevanda letale. Mei sceglie di attenersi alla legge dell’onore, non rivelando la confessione che ha ricevuto da Eugene sotto giuramento di non renderla pubblica, decisione in ragione della quale Andy viene condannato a una pena pecuniaria elevata e ad anni di carcere.  

Oltre alla sovversione della legalità istituzionale, si assiste a un conflitto tra generazioni. Soprattutto a casa di Mei, gli usi cinesi della vecchia generazione, rappresentata dalla madre, non valgono per i giovani, proiettati in una modernità che ne fa a meno. Più a fondo, e in modo più inquietante, la madre ha convissuto con atti sessuali illeciti commessi dal padre nei confronti di Mei bambina e che ne hanno ovviamente influenzato tutto lo sviluppo psicologico ulteriore.

Singapore è vista come un luogo di artificiosità: “There is something exotic about Singapore. The only problem it’s all manifactured by the Tourist Board” (p. 136).

Un luogo in cui la modernità si combina con la tradizione: “From my office, I could see the Westin Stamford, the tallest hotel in the world. The other skyscrapers towered above the green water, white light bouncing off dark windows, a labyrinth of mirrored citadels, a city of glass. This was Singapore, the centre of information technology in South-East Asia; this was Singapore, a place where people still bowed down to idols, burnt joss sticks, consulted mediums, exorcised demons and walked on coals” (p. 148).


 [Roberto Bertoni]