03/11/15

Motoko Tanaka, APOCALYPSE IN CONTEMPORARY JAPANESE SCIENCE FICTION

New York, Palgrave Mac Millan, 2014


L’autrice chiarisce con precisione l’ambito della sua ricerca:

“This book focuses on the roles of apocalypse in postwar Japanese literature, especially science fiction, and the ways in which apocalyptic ideology has changed throughout the period since the end of World War II. It explores how apocalyptic science fiction reflects and copes with major socio-political changes in postwar Japan, especially devastating changes that created serious discontinuity in the national identity from 1945. These changes created crises that are explicitly deadly, including the death of traditional identity and the present understanding of the world. The structure of apocalyptic science fiction reveals what is at stake in Japanese society – cultural continuity, tradition, politics, ideology, reality, communities, and interpersonal relationships – and suggests ways to cope with these crises and visions for the future, both positive and negative” (p. 3).

Alla base realistica delle espressioni immaginarie dell’apocalisse sono gli eventi naturali rubricati sotto la dizione “cruelty of reality” (p. 2), ovvero terremoti, tsunami, tifoni, alluvioni, che tormentano da sempre la storia geologica nipponica ed eventi tragici provocati dalla storia umana, soprattutto la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki nel 1945, il massacro della metropolitana di Tokyo nel 1995, il disastro nucleare provocato a Fukushima dal terremoto e dallo tsunami del 2011.

Una prima fase delle narrazioni apocalittiche giapponesi si orienta sul significato della seconda guerra mondiale in relazione all’identità giapponese. Dagli anni Sessanta in poi si assiste a quella che Tanaka definisce, sulla scorta del sociologo Ōsawa Masachi, un periodo idealistico che comprende anche l’avvio del postmoderno, per arrivare, dagli anni Settanta in poi, al periodo del fittizio (“fictional age”, p. 45), con spazi e scritti che paiono escludere la predilezione per la realtà a favore della finzione e del virtuale. Sempre basandosi su Ōsawa Masachi, l’autrice osserva che l’apocalissi divenne un elemento dell’immaginario rilevante negli anni Settanta e Ottanta a causa delle soluzioni di distruzione integrale proposte in luogo di strategie riformistiche, in concomitanza con la perdita, anche in Giappone, delle lyotardiane grandi narrative. Altri fenomeni sociali rilevanti degli ultimi decenni sono le nuove religioni e le sette.

Le somiglianze con la narrazioni apocalittiche occidentali sono piuttosto evidenti. Al contempo, però, Tanaka sottolinea differenze significative, nate non solo dalla tradizione buddhista del tempo ciclico e dalla resipiscenza mitica del rapporto con la natura, ma anche, in tempi a noi più vicini, dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale, dalla raffigurazione, dopo due eventi del 1995 (il terremoto di Kobe e l’assalto, sopra citato, dell’Aum alla metropolitana di Tokyo), di un mondo post-apocalittico senza gli altri: “an endless, timeless world without confrontation” (p. 61). Negli ultimi due decenni, c’è inoltre la tendenza degli scrittori giapponesi di questo genere letterario-filmico a rivolgersi più ai giovani e giovanissimi che a un pubblico composto da persone di eta più avanzata.

Tra le opere analizzate, romanzi, film, serie animate, note anche in Occidente per le strade di globalizzazione percorse, e su cui l’autrice punta luci rivelatorie del contesto socio-storico nazionale, sono, qui come nel testo in questione coi titoli in inglese, Silent Cry di Ōe Kezamburō, Inter Ice Age 4 di Abe Kōbō, Japan Sinks di Komatsu Sakyō, Nausicaa di Miyazaki Hayao, Hard-Boiled Wonderland and the End of the World di Murakami Haruki, Godzilla, Sky Crawlers.
  

[Roberto Bertoni]