07/10/15

Yoko Ogawa, REVENGE



["She was hoping the child would grow well, protected" (Nara 2013). Foto Rb]


Yoko Ogawa, Revenge. Sottotitolo: Eleven Dark Tales. Prima ed. giapponese 1998. Traduzione di Stephen Snyder, Londra, Harvill Secker, 2013


I racconti che compongono la raccolta sono collegati non solo dai generi del lievemente macabro e del meraviglioso nel quotidiano, ma da dettagli che si ripetono in diversi racconti; oppure da personaggi protagonisti in un racconto, ripresi come personaggi secondari in un altro. Con ciò si dà l’impressione che, nonostante l’isolamento inevitabile di ogni storia, venga delineato un mondo con connotazioni comuni, una geografia e un’ambientazione condivise, una cronologia. Si tratta per lo più di storie di quartiere, riprese come in una piccola città.

Lo sfondo sociale è quello della famiglia in crisi e da società liquida, con una matrigna affettuosa, per esempio, che poi però divorzia, lasciando la casa dell’uomo precedentemente divorziato con cui era convolata in secondo matrimonio.

C’è una vena di sadismo dichiarato in modo eufemistico, per lo più, ma piuttosto esplicito nel racconto intitolato “Welcome to the Museum of Torture”, protagonista il custode di una collezione di strumenti di tortura che sono stati usati tutti almeno una volta.

Il titolo inglese Revenge si applica solo ad alcuni testi, come quello appena citato, nel quale peraltro la vendetta è solo immaginaria, su un fidanzato che lascia la protagonista perché, avvenuto un omicidio al piano di sopra, lei, pur addolorata per la morte del vicino di casa, si è lasciata trasportare da un ridanciano entusiasmo per la presenza dei mass media nel palazzo, suscitando la riprovazione morale del partner che perciò, compiendo un atto anch’esso discutibile eticamente, se ne va di casa rompendo definitivamente, di colpo, la relazione.

I protagonisti e narratori in prima persona sono quasi tutti solitari, alienati, introversi, con una vita difficile che mascherano dietro apparenze di normalità.

La scrittura è misurata tra un’ironia sottile e la pietà umana.


[Roberto Bertoni]