07/09/15

Marina Pizzi, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 70-75)


70.

vorrei azzerarmi in un cantico di stasi
fare da zattera a una manciata d’ombre
che cantino fraterne l’armistizio
come in casa d’altri la gentilezza
per far sì la figura dell’orto
senza parassiti. il cielo è d’acrobati
pronti solerti libellule anche se alcune
lesinano.


71.

Amor di nostalgia starti accanto
Sciacallo lo scoppio del cuore guardare mia madre morta
Fasciata da un lenzuolo cattivo come la bara
I fiori da buttare bellissimi
Inadeguati all’illusorio bene.
Me ne andrò al collo della luce
Senza il tempo di guardare fuori
Né le banconote che lascerò ai ladri
O la maremma mamma con le volpi.
Io mi lascio nel conto della spesa
Nelle briciole che frammentano lo sguardo
Nel sale di ciotole maligne più benigno
Dove morire è un salto di gioia.
Ordine di agguato starti a sentire
Dove la morte risana il nel sorriso.
Il tempo di mia madre è scoglio nudo
Trapasso per andarsene cometa
Lieta donna di senno statuario:
ora vengo io e il tuffo è annegamento.


72.

stelle sotterranee l’occaso
La fase nera di morire giovani
Dentro una stanza spaccata in due
Per il dolore dell’urlo
E la faccenda atavica del pane duro
Schiacciato dal marmo della fionda
Per la gioia di piccoli cantori di morte.
Esiste un luogo cronico di nebbia
Dove le rotte belle dei fanciulli
Divergono dal suolo per il cielo.
Immune non sarà al capezzale
Azzerato da rondini maligne
Dal fiuto nero di morire errando.
Da qui al caos della trottola
Resta un infuso di stregante amore
Per le vigne corsare senza natale.
Tu reo nel cordoglio di salire
Sembri alunno del buio recidivo
Dove si accumula la nascita che fa spavento
Alla maestra sazia di diamanti.
Così il torcicollo della stirpe
Avrà un capitolo di mancati addobbi
E frasi sotto il letto per delirio.


73.

Che venga sì questo dolore grande colono
Della spiaggia così sarà l’ennesima
Stanza di perdere la vita
La stazza che fa da fulcro
Crudeltà d’agro commettere rapina
Al quadrifoglio visto per caso.
Intrusa acredine il fato morto
Dallo sposalizio di una rondine bambina
All’acerbo approdo di nascere per forza.
Introduci in me la fata mastodontica
La buona forza di commettere silenzio
Salute e orgoglio salutare i vinti
Verso la rotta che erutta Santi
Brevetti di silenzi il capitan cortese.


74.

Poveretti aquiloni i sillabari
Denunciano acque che non dissetano
Nei miseri appalti per resistere
Condivise ceneri l’avvento.
Origlio quale fu la lontananza
Questo dispetto di foce senza vita.
Coriandoli bambini che promisero
Alloggio alla cometa sconsolata.
Caldo zaino vederti arrivare
Ricavandoti aureola infinita
Tanto e caso di morire a caso.
Animata bottega consigli d’angelo
consueta maestà vederti giungere
dove si posano le doglie di morire
fanciulli centenari senza etimo.


75.

Piange di me l’aureola nel fosso
Questo patema agro alla spiaggia
Dove addormenta l’estro ad occhi aperti
Nessun compagno d’elemosina il dolore.
Poi mi colse parola d’eresia
Lato consueto morir di sassi
Quasi ne vissi moribonda sempre.
Urlo del fato stare sotto il letto
Come di strazio la foggia della croce
Quando mi ammancano il cielo e la sconfitta.
Paralisi di stato la pupilla all’ombra
Chiedo l’esilio in rarità di pace
Per ergere un dovere di solarità
Al guado in agguato. Sono morta
Col sibilo alla bocca nella nuca flessa
Morente all’alfabeto delle cose
Mortale al visibilio delle rose.
Sisma di elemosine morire.

[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]