25/08/15

Stefan Zweig, MENDEL DEI LIBRI



[Bookshop in Kinsale (2015). Foto Rb]


Stefan Zweig, Mendel dei libri. Prima edizione 1929. Milano, Adelphi, 2008


Il narratore in prima persona si ritrova in un caffè viennese di periferia che frequentava tanti anni prima. Emerge un ricordo, prima vago, poi sempre più pressante finché si definisce: era il luogo in cui aveva conosciuto Jacob Mendel, un appassionato di libri, dotato di memoria portentosa, capace di ricordare titoli, contenuto e dettagli bibliografici di ogni libro a sua conoscenza, consultato da docenti e professionisti, nondimeno uno spiantato, socialmente, ebreo russo che viveva in Austria senza documenti ufficiali se non un permesso di vendere libri porta a porta.

Fisso nel proprio mondo cartaceo, restio a mediazioni con la burocrazia, torre d’avorio in qualche modo, si ritrovò in carcere per aver scritto lettere relative all’acquisto di una rivista bibliografica con un libraio francese. Essendo la Francia nemica dell’Austria durante la prima guerra mondiale, fu chiuso in un campo di prigionia per due anni. Uscitone impoverito e demoralizzato, iniziò un periodo di decadimento finché, persa la memoria, rubati dei panini per nutrirsi, fu questo il pretesto che spinse il nuovo padrone del caffè a bandirlo dal suo locale, fino alla morte per polmonite.

Le ultime fasi della vita di Mendel sono narrate da una cameriera anziana, ancora impiegata nel caffè, col che si danno due voci narrative che entrambe guardano il personaggio principale dall’esterno e con rispetto, rendendone la psicologia senza immedesimazione diretta nei suoi pensieri.

Si tratta di un’allegoria della cultura disinteressata, non prona nei confronti di alcun tipo di commercializzazione.

Mendel rappresenta inoltre la non massificazione:

“[…] fui assalito da una specie di sgomento quando, nella penombra di quella stanza, vidi l’oracolare tavolino in marmo di Jacob. Solo adesso – anch’io più in là con gli anni – capivo quale grande perdita sia la scomparsa di uomini simili. Innanzitutto perché l’unicità diventa ogni giorno più preziosa in questo nostro mondo che irrimediabilmente va facendosi ogni giorno più uniforme” (p. 29).

La condanna di Mendel raffigura inoltre il ripensamento della guerra: l’assurdità dell’arresto di una persona innocua e la distruzione conseguente della sua vita privata s’innesta sulla considerazione che

“il mondo, smaltita ormai la sua follia, si sta rendendo conto poco a poco che delle mille crudeltà, dei mille scellerati soprusi di questa guerra, nulla è stato più insensato, superfluo e quindi moralmente ingiustificabile di quel raccogliere tutti assieme e stabbiare dietro il filo spinato civili ignari” (P. 41).


[Roberto Bertoni]