21/06/15

PETER PAN


[A world of fantasy behind the door? (Wexford 2015). Foto Rb]


Il testo teatrale Peter Pan or The Boy Who Wouldn’t Grow Up di James M. Barrie fu rappresentato per la prima volta nel 1904. Il testo in veste narrativa, intitolato Peter and Wendy, uscì nel 1911. Adattato in varie guise, tra cui l’opera e il balletto, la versione di Walt Disney, del 1953, è discretamente fedele al testo originario nei dialoghi e piuttosto accattivante nell’uso delle immagini e dei colori.

L’irrazionale, l’incongruo, il sogno, l’evasione dall’educazione borghese verso l’avventura sono una delle chiavi di lettura. Come in Pinocchio, si segue la crescita, non di Peter, ma degli altri protagonisti, e si impone il tema dell’accudimento tramite la figura centrale di Wendy. Peter, invece, a differenza di Pinocchio rifiuta categoricamente di crescere anche nel finale: “I don’t want to go to school and learn solemn things. No-one is going to catch me […] and make me a man.  I want always to be a little man and to have fun” (Ed. Feltrinelli, Milano, 1992, p. 192).

In senso Junghiano si esamina Peter Pan nell’ambito dell’archetipo del Puer Aeternus, il dio dell’antichità, privo di restrizioni e intento alla giovinezza perpetua, che si reincarna nella personalità trasgressiva e insofferente dei limiti. E nella storia culturale, sulla scorta di Kerényi, con cui Jung ebbe una collaborazione fattiva, c’è un riferimento al dio Pan, che nella reincarnazione di Barrie si manifesta, non solo nella presenza esplicita nel nome, ma tramite l’uso appunto del flauto di Pan da parte del protagonista.

In “Psicologia dell’archetipo del fanciullo”, Jung nota caratteristiche che si ritrovano in Peter Pan: “[…] domina ora l’aspetto del fanciullo, ora quello del giovane eroe” (Opere, IX.1, Torino, Boringhieri, 1989, p. 159); l’“invincibilità” (ibidem, p. 163).

In un saggio del 1967, l’archetipo del Puer in opposizione al Senex viene ulteriormente esaminato da Hillman, che ne specifica le caratteristiche multiformi, due delle quali sono adattabili alla personalità del personaggio di Barrie: “Questo singolo archetipo tende a fondere insieme l’Eroe” e “il Briccone” (Puer aeternus, Milano, Adelpphi, 1999, p. 96); e interpreta: “Le figure Puer possono essere viste come manifestazioni dell’aspetto spirituale del Sé e gli impulsi Puer come messaggi dello spirito o come chiamate dello spirito” (Ibidem, p. 97). In tal caso Peter Pan sarebbe una specie di vettore verso le profondità dell’inconscio.

Interessante, in Peter Pan, non solo il rivivere del fanciullo eterno, ma anche dell’archetipo dell’Ombra, ovvero la parte negativa di sé, che viene ricucita (letteralmente, riattaccando lombra alla figura di Peter) dalla figura materna di Wendy in Barrie, con tentativo di ricomposizione dell’interezza del Sé tramite l’inclusione degli opposti che coesistono.

La sindrome di Peter Pan, nelle riflessioni di Dan Kiely, consiste nella permanenza, tra un particolare tipo di uomini adulti, di atteggiamenti di rifiuto dell’impegno costante nelle relazioni amorose, oscillando tra atteggiamenti sentimentali e fuga nella promiscuità, autodifesa dall’emotività tramite il distanziamento, livelli di noncuranza ostentata, oblio delle situazioni penose o ardue (Dan Kiley, The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up, New York, Dodd Mead, 1983).

Se si guarda alla vita reale, c’è un enigma di tragedia, dato che, come nota F.M. Cataluccio, due dei bambini reali da cui vennero tratti i personaggi di Barrie morirono suicidi da adulti (ed. Feltrinelli, cit., p. 25).


[Roberto Bertoni]