97.
le letargie del sale pianto
commettono zizzania nella gola
per singhiozzare sempre. brevità
maestra la poesia di secoli. se
ne vanno
i mesi delle scorte quando la
legna
sembra non finire mai e la
bravura
è una castagna chiusa spaccata
dal fuoco
che la uccide. veniva nei baci la
cerimonia
andante la stretta di capire
perché la fionda
faccia dispetto alla dama del
sacro,
madre la cara concava sirena.
così
non basta calunniare gli anni le
croci
a vanvera che si spezzano alla
grandine.
98.
in un giorno di qualunque
sorpasso
ho tralasciato la questua della
noia
per il restauro degli equorei
sorrisi
dell’angelo palese. ma non è
bastato
comporre indulgenze verso il
cimitero
né verso l’occaso o l’aurora. è
tutto
finito nel male di stato farina
infetta
contro il pane. in un giardino di
elemosine gentilizie ho visto il
padre
simulare amore. in un altare di
silvane
eresie le belle coppie di animali
carezzevoli. ma non bastò la
marina
il verbo buono per rinascite di nidi.
madonne allegoriche aprivano
l’aria
al carnevale ma la risata era
minima.
giocoforza commettere avarizie
quando il respiro è corto.
il sego dell’alba più sfacciata
rumina segni di goliardie
volgari.
martiri del lusso le oche
costrette
ad ingurgitare d’imbuto.
99.
quota del mio dolore madre andata
tagliata dalla nenia del pregare
apocalisse del pianto in piena
pena.
ti ricordo con l’afa nella gola
con le morie dei cuccioli più
sani
tu scarto della vita in presa
d’astio.
madre marina insita bravura
quale un atavico giorno di
vulgata
io crepata senza il tuo sguardo.
pace non avrà il mio ristagno
questa grandezza epica di
piangere
la stanza dove eri grazia di
visione.
indagine maligna stare a secco
senza le foglie da guardare morte
e le chele del granchio da
rifuggire.
venuzza di cristallo lo sguardo
al mondo
la miseria che ormai è castello
dirotto
e la storia un enorme stallo.
100.
ci sarà il tatuaggio del sale
scalpore che intristisce
i mitici aromi delle erbe.
sul bagliore che prova a fare il
faro
la gaiezza della luce sarà un
falso
uno stratagemma di zonzo
un asilo di zavorra.
in mano alle rendite di cenere
sto a piangere le dita che non ho
per scommettere che la nuvola
diradi
coma il forziere in gola.
[Fine. Le strofe precedenti sono sui numeri scorsi di “Carte allineate”]