21/07/13

Yim Seock Jae, THE TRADITIONAL SPACE



[Tongdosa (Busan area, 2013). Foto Rb]


Sottotitolo: A study of Korean architecture. Trad. Lee Jean Young, Seoul, Ewha Women University Press, 2005


Questo volume rivendica la novità di un approccio interpretativo, anziché descrittivo e classificatorio, allo studio dell’architettura tradizionale coreana.

Vengono esaminati gli spazi principalmente del tempio, del palazzo e della casa privata con categorie fondate su principi buddhisti, taoisti e confuciani, che variano dalla risposta emotiva sollecitata nell’utente e nell’osservatore delle strutture studiate, relazionabile alla durevolezza etica del piacere costante rispetto a quello effimero del momento, fino ad arrivare all’alternanza di pieno e vuoto rispondente ai principi di esplorazione interiore delle meditazioni e della struttura dell’universo.

Da qui l’importanza di elementi che non appaiono immediatamente all’occhio di un osservatore occidentale, se non istruito e condotto a vedere ciò che va visto come va visto, in particolare l’importanza della luce e dell’ombra all’interno di una concezione dell’“interaction of emptying and non-definitiveness” (p. 11) e del pieno e del vuoto: “filling becomes one with emptiness. This unity is a state where the subject and object are one in the absence of conflict” (p. 29). La prospettiva spaziale dell’architettura tradizionale coreana consiste di coesistenza e unità tra “wall and empiness”, il che è “in line with the idea of Non-duality (advaita) of Buddhism” (p. 79).

Lo svuotamento è un valore assoluto di per sé, equivalente alla concezione buddhista di eliminazione dell’avidità e delle passioni e da rapportarsi all’idea taoista che “emptying […] is […] defined as a condition for better filling” (p. 20).

Da qui si dipartono altri concetti compatibili: tangibile (il pieno) e intangibile (il vuoto); esperienza e immaginazione; artificio e natura.

L’immersione degli edifici tradizionali, soprattutto i templi, nella natura può essere spiegata col valore simbolico della natura in quanto depositaria dei valori della verità e dell’ordine (“law”, p. 27).
                                       
Nel rapporto con la natura, il volume di appella al concetto taoista di yeangsheng, “whereby one overcomes the subordination to external materials by abandoning greed. This results in mastery over external materiality, which means that in order to reach harmony and accomplishment, greed must be abandoned. This is possible when we resemble and obey nature (p. 121).

L’ombra è un elemento di riempimento reso possibile dallo svuotamento dello spazio ed evidenzia il significato profondo del vuoto a causa della propria natura intangibile: “the shadow defines the intangible form of its tangible existence” (p. 33).
L’ombra ha sei significati architettonici: 1. “it defines the boundary of a building”; 2. “the shadow sometimes extends its territory by interacting with the surroundings” (p. 46); 3. “the shadow has a formative function. The shadow is a formal medium that creates shapes and patterns” (p. 52); 4. “the shadow is a typical case if intangible diversity, which is attributed to its variability” (p. 55); 5. “a formal subject most effectively expressed by intangibility is silence” e l’ombra lo esprime in maniera astratta; 6. “the shadow is an indicator of time” (p. 58) con la sua alternanza di lunghezza e brevità a seconda delle diverse ore del giorno.

Il materiale e l’immateriale convivono, rappresentati da aspetti quali la carta di riso che mantenendo una trasparenza opaca non chiude completamente le pareti interne sebbene le differenzi, funzione espletata anche dalla posizione delle finestre nel rapporto col mondo esterno. L’interazione tra interno ed esterno ha risvolti di “overlapping” come dimostrano i corridoi di passaggio e i passaggi in generale e il “borrowed landscape” (p. 98). Anche in questo caso il legame metafisico è con la concezione buddhista della non dualità.

L’idea estetica generale è quella di “accomplishment, harmony and fitting”, come la definisce “the ancient Chinese book, Lu’s account of history” (p. 121).


[Roberto Bertoni]