29/07/13

Eric Hobsbawm, ON THE EDGE OF THE NEW CENTURY


1999. Sottotitolo: In conversation with Antonio Polito. Trad. dall’italiano di A. Cameron. New York, The New Press, 2000


In questa lettura, colpisce l’ampiezza e la sagacità della previsione da parte di Hobsbawm che punta soprattutto sulla crisi delle ideologie del ventesimo secolo, sulla globalizzazione, le migrazioni, l’espansione dei diritti e tra questi in particolare quelli femminili con un’aura di obiettività piuttosto salutare in quanto né nasconde la posizione marxista da cui interpreta, né la manifesta con modalità dogmatiche o precondizionate, parlando ancor oggi, a diciassette anni di distanza, con riflessioni valide.

Vedeva già allora un’inversione di tendenza rispetto al dominio occidentale del mondo, con indebolimento non solo di questa egemonia a favore di paesi che presto, come la Cina (“the only single state that could aspire to compete with the United States in the future”, p. 55-56), sarebbero saliti al vertice delle superpotenze economiche, ma anche l’indebolimento dello stato nazionale in quanto istituzione pur senza che si possa parlare di sua disintegrazione, una situazione assimilabile a quella successiva alla caduta dell’Impero Romano, quando:

“There was no longer any central authority. In some cases there were local authorities which still managed to function, and in other cases there was conquest by groups from outside which came to establish themselves. However, in reality vast regions of Europe lacked normal and permanent state structures for a long period of time. I believe this is occurring again in parts of the world” (p. 37).

A ciò corrisponde, in parallelo, l’erosione delle regole della Guerra fredda, quali il principio di non interferenza; e la formazione di nuovi poli egemonici dopo quello che Hobsbawm definisce “the American century”, ovvero il ventesimo secolo, fondato sul dinamismo e la dimensione dell’economia statunitense oltre che sull’egemonia culturale e principalmente della cultura di massa (“popular culture”, p. 47).

La globalizzazione (“undoubtedly irreversible and in some ways independent of government action”, p. 69) veniva giudicata un processo ampio ma non ancora del tutto compiuto, destinato a intensificarsi nei decenni a venire. Il problema della globalizzazione è lo scollamento tra accesso alle risorse e alle possibilità, da un lato, e inuguaglianza dall’altro:

“[…] globalization, in a sense, means wider access, but not equal access, for everyone, even unequal manner. The problem with globalization is its aspiration to guarantee a tendentially equalitarian access to products in a world that is naturally unequal and varied. There is a tension between two abstract concepts” (p. 65).

A parere di Hobsbawm (cui senz’altro si associa chi scrive queste note):

“[…] more probable than a reaction against globalization is a kind of syncretic combination of cultures, as with kung fu films produced in Hong Kong, where there is a mixture of Western elements, traditional Chinese ones, and various other practices. In this way a number of local variants of global culture develop and fuse, rather than clash with each other” (p. 125).

Hobsbawm valutava esistente, come si è visto alla prova dei fatti successive, la distinzione tra destra e sinistra contro chi, da destra, la considerava estinta, pur rilevando un evidente mutazione di significato del termine “sinistra”, ma con un mantenimento dei legami coi principi della rivoluzione francese. Il cambiamento ideologico era radicato nella trasformazione della struttura di classe. La sinistra veniva indebolita dall’espansione della società dei consumi e dalla difficoltà, almeno nel mondo occidentale, a coinvolgere le persone nell’azione collettiva. Collateralmente la destra era prosperata anche sulla rinaztita dei patriottismi, dei poteri mediatici e dei populismi.


[Roberto Bertoni]