11/12/12

Lee Jeong Hyang, 오늘 (A REASON TO LIVE)



[Mothers and child against the background of a Christian and a secular tower (Seoul, Olympic Park, 2011). Foto Rb]








Lee Jeong Hyang, 오늘 (A reason to live). Corea, 2011. Sceneggiatura di Lee Jeong Hyang. Con Ki Tae Young, Nam Chi Hyun, Song Chang Eui, Song Hye Kyo


Il titolo coreano di questo film è 오늘 (Oneul), ovvero, in italiano, Oggi, termine inteso probabilmente a rendere il contenuto più ampio del titolo inglese (non solo una "ragione di vita", ma l'oggi diverso da ieri,  momento di riflessione sul passato, espressione di quanto si rivela come attuale), con un potenziale semantico allusivo e consono in ciò all’estetica del regista e sceneggiatore, il quale tesse la narrazione per spezzoni cronologici alternati a quadri retrospettivi non diacronici, invitando lo spettatore a ricostruire la vicenda a mosaico e lasciando così affiorare di volta in volta dettagli individuali e collettivi sullo spezzone di vita esplorato.

Da Hae ha perso il fidanzato Sang Woo in un incidente stradale: un giovane l’ha investito per fatalità, poi una seconda volta volontariamente, uccidendolo. Un anno dopo la disgrazia, per conto di un’associazione religiosa cristiana, la donna, regista di professione di documentari, sta girando una serie di interviste a vittime di violenza delinquenziale, persone nella fattispecie cui è stato ucciso un parente.

La pellicola, mentre indaga l’inconscio di Da Hae tramite i flashback dei ricordi del tempo felice dell’innamoramento, troncato così tragicamente, mette in rilievo gli atteggiamenti delle altre vittime rispetto al tema del perdono, indicando, oltre alla varietà delle emozioni e alla difficoltà di accordarlo, come invece spererebbero i religiosi coinvolti nell’inchiesta, anche le difficili situazioni familiari, di tenore di vita e di relazioni sociali.

Frattanto s’insinua un terzo elemento, consistente nel rapporto protettivo della protagonista nei confronti della sorella di un amico di Sang Woo: questa ragazza è vittima di violenza da parte del padre in una condizione di ceto sociale borghese, in più la professione del genitore è quella di giudice, dal che un contrasto stridente tra il comportamento pubblico e privato.

Accanto al problema del perdono, accordato da alcuni e non da altri, concesso inizialmente da Da Hae ma poi negato al secondo delitto del giovane che ha perpetrato l’omicidio ai danni di Sang Woo, in un fluttuare di tensioni contraddittorie e dolorose, s’incontra la dinamica del rimorso: non da parte dei violenti, bensì da parte di chi riflette sul ruolo che il caso ha assegnato, impedendo di salvare una vita, e del cinismo di chi al contrario non vive la questione etica con problematicità.

Lontano dall’essere pacificante nonostante lo sfondo morale in parte religioso, ma in parte secolarizzato dalla riluttanza, in determinate circostanze, a "porgere l'altra guancia" e dalla non lineare tendenza ad ammettere il risentimento e la crisi interiore provocati dal trauma della violenza, il film è caldamente umano proprio per talune incertezze sulla postura da seguire rispetto alla legge dei Comandamenti, non per questo messi in dubbio in quanto tali, ma indagati da domande che espongono un conflitto tra le motivazioni psicologiche e quelle dell’obbedienza alla legge religiosa. Si evidenziano inoltre i meccanismi carcerari accompagnati da tecniche di riabilitazione sociale per chi perpetra. Viene notato il meccanismo secondo il quale i familiari delle vittime che perdonano, o almeno si sforzano di farlo, provano effetti benefici su di sé.

La pellicola si conclude col divieto alla protagonista di una visita all'omicida per via della condotta istituzionale che deve, correttamente, impedire contatti tra le due parti per evitare rischi di ulteriore violenza e promuovere la presa di coscienza individuale di entrambe separatamente l’una dall’altra, ma da questa norma deriva quanto sia impossibile chiarire faccia a faccia le problematiche. Il rovello mentale di Da Hae si alterna al proseguire della vita di tutti i giorni, il che produce immedesimazione e pietà negli spettatori.
  
오늘 si avvale di interpretazioni ottime. Colpisce soprattutto la duttilità di Song Hae Kyo nella parte di Da Hae: un’attrice che avevamo già visto tra i personaggi principali di Full House, serie televisiva di successo in cui aveva un ruolo spiritoso che conservava per tutte le puntate con brio e vitalità, ora altrettanto capace e convincente nella parte drammatica e psicologicamente carica di sfumature di quest’ultima pellicola.


[Roberto Bertoni]