29/11/12

Robin Cohen, GLOBAL DIASPORAS


Seconda edizione, Abingdon (UK) e New York, Routledge, 2008


Accresciuto e rivisto, nonché connotato da dibattito nei confronti di recensioni e critiche relative all’edizione del 1997, il volume si occupa, oltre che di teoria, di casi concreti di movimenti diasporici, in particolare di quelli di africani e armeni, di lavoratori con contratti a termine indiani e inglesi, delle diaspore del mondo degli affari e del commercio di cinesi e libanesi, di sionisti e Sikh, della deterritorializzazione dei Caraibi e di altri argomenti, costituendo una densa problematica che ha reso l’opera un caposaldo sull’argomento.

Qui ci premono soprattutto due capitoli: il primo che definisce il concetto di diaspora; e l’ottavo, sulla diaspora nell’era della globalizzazione.

È vero che c’è stata un’evoluzione dell’idea di diaspora, partendo dal prototipo, soprattutto ebraico, di una “dispersal following a traumatic event in the homeland” (p. 2), verso un’espansione del concetto che è arrivato a includere comunità a disagio rispetto agli schemi della società dominante e altri elementi sociologici. Restano comunque, sottolinea, Cohen, aspetti comuni che permettono di individuare cosa sia una diaspora e quando un movimento di popolazione o una comunità si possa definire tale. Tali aspetti sono nove:

1. quello già citato della dispersione dovuto a un evento spesso traumatico;

2. “expansion from a homeland in search of work, in pursuit of trade or to further colonial ambition”;

3. l’esistenza di “collective memory and myth about the homeland”;

4. l’idealizzazione della patria reale o immaginaria;

5. il ritorno frequente in patria con l’approvazione sociale del gruppo di appartenenza (per esempio per ragioni di studio o di lavoro o di ricollegamento con le origini);

6. una marcata coscienza di appartenenza etnica, religiosa, comunitaria;

7. una “troubled relationship with host societies, suggesting a lack of acceptance or the possibility that another calamity might befall the group”;

8. empatia con appartenenti alla stessa comunità in paesi diversi;

9. la “possibility of a distinctive creative, enriching life in host countries with a tolerance for pluralism” (p. 17).

Nell’era della globalizzazione, l’economia consente collegamenti internazionali e la presenza di quadri d’impresa, creando nuove possibilità di diaspora, frattanto si creano forme nuove e tradizionali di immigrazione, si sviluppano sensibilità cosmopolite e si assiste a un revival della religione in quanto fattore di coesione sociale. Tra gli esempi forniti da Cohen ci sono la forte presenza commerciale giapponese a Londra, l’islamismo fuori dei paesi islamici, le comunità imprenditoriali cinesi fuori della Cina. Viene evidenziata la funzione di ponte tra culture delle neo-diaspore, con il bilinguismo diffuso oggi tra gli appartenenti a queste comunità, la coesistenza di “cosmopolitanism and ethnic collectivism” (p. 148), nuove e complesse forme di identità.


[Roberto Bertoni]