Italia 2011. Con Fatima Alì, Ibrahima Faye El Hadi, Alessandro Haber, Rutger Hauer, Michael Lonsdale, Irma Pino Viney, Souleymane Sow.
Il parroco di una chiesa che viene chiusa, un anziano già scosso da
questa decisione presa in qualche luogo dell’autorità al disopra della sua
testa, si trova a convivere, la stessa notte della sconsacrazione, con degli
extracomunitari clandestini, aiutando per carità cristiana e amore per il
prossimo un ferito, una partoriente, tutti coloro che hanno bisogno e cercando
di proteggerli dall’intrusione delle forze dell’ordine.
Sebbene ciascuno dei clandestini abbia una storia concreta che emerge a
tratti dai dialoghi reticenti durante lo svolgersi della pellicola, ciascuno
pare piuttosto impersonare funzioni simboliche, con una recitazione
straniante e teatrale nello scenario spoglio della chiesa deprivata dei simboli
attivi della religione.
Viene invocato Caino. C’è un’allusione a Giuda nella decisione di uno dei
migranti di consegnare un collega alla polizia. Il più colto degli ospiti pare
una reincarnazione del Buon Pastore. Si ha una rivitalizzzazione attualizzata di elementi del Vecchio e Nuovo Testamento.
Vero, quindi, quanto dichiara il regista a proposito di questo film: “è
ricco di simboli, come ogni racconto allegorico […]. La realtà è assolutamente
scenografica, non c’è alcuna pretesa di realismo. Non è un film realistico, è
un film con cui si cerca di comunicare la sublimazione di un’idea” [1].
La necessità del sostegno mutuo pare la nota dominante, assieme alla
requisitoria per l’incomprensione da parte degli altri (cioè noi, la
società in cui i migranti pervengono) delle dinamiche che li hanno sospinti a
questi lidi, in cui si è perso il senso autentico della parola di Dio, come sembrerebbe
indicare la lettura del quaderno con citazioni delle Scritture, ritrovato sulla spiaggia, di uno di loro deceduto.
Vengono emblematizzate varie tipologie, scarnificate dai riferimenti ai
fatti della cronaca giornalistica e trascinate a interpretare la condizione
umana: la prostituta eticamente nobile, la ragazza difesa
contro chi vorrebbe punirla per essere rimasta incinta, il savio, la gente comune.
Uno dei partecipanti a questa storia di sofferenza ed esclusione decide di
tornare in Africa. In effetti la requisitoria contro L'Occidente è accesa. Il concetto di Olmi, secondo le sue stesse parole, è che “la storia deve
cambiare prima che essa cambi noi, l’uomo ha disatteso i propri doveri verso il
prossimo, non si può continuare così” [2]. Sarebbe pretestuoso e
difficile dargli torto.
Sul piano stilistico, il nitore e l’economia di mezzi, oltre che la bravura
degli attori, costruiscono un film di spessore estetico, lento, serio; impegnato,
anche nei confronti del mezzo cinematografico, a sottrarsi a tentazioni commerciali.
NOTE
[1] Intervista a cura di E. Salvadori.
[2] Ibidem.
[Roberto Bertoni]