Macerata, Quodlibet, 2012
Lo studio di Vito Santoro prende in esame un aspetto
della produzione calviniana poco noto e finora non molto studiato, quello del rapporto
tra Calvino e il cinema.
È vero che, come scrive Santoro, lo scrittore sanremese è
stato uno dei letterati che ha meno contribuito dal punto di vista creativo al
cinema italiano (almeno dal punto di vista quantitativo), ma i rapporti fra
Calvino e la settima arte sono meno casuali ed episodici di quanto non possa
apparire a prima vista. L’autore sanremese è stato infatti un appassionato
spettatore e un critico attento, e le sue opere hanno rappresentato una fonte
di ispirazione per vari registi e sceneggiatori.
Il primo capitolo del libro di Santoro tratta di Calvino
come spettatore cinematografico, prendendo spunto dalle considerazioni
autobiografiche contenute nel testo L’AVVENTURA DI UNO SPETTATORE. Lo studioso
ripercorre la formazione cinematografica di Calvino, sottolineando la sua
passione giovanile per il cinema americano degli anni Trenta, forse non troppo
sorprendente in un autore che riconosce tra i suoi modelli letterari scrittori
di libri d’avventura come Stevenson e Conrad.
Santoro traccia anche un interessante parallelo tra questo
entusiasmo per le pellicole hollywoodiane “di genere” e l’idea della
letteratura come processo combinatorio, che ha caratterizzato buona parte della
produzione calviniana.
Calvino, secondo Santoro, considerava il cinema “espressione
poetica piuttosto che comunicazione” (p. 21), un’“arte della visione” che poco
aveva in comune con l’arte della parola per eccellenza, ovvero la letteratura. Da
questa concezione del cinema come espressione artistica principalmente visiva deriva
lo scarso amore che lo scrittore sanremese sempre manifestò per il doppiaggio e
per l’uso della parola nel cinema.
Il capitolo si conclude con un’analisi dell’ultimo libro
calviniano, PALOMAR, che secondo Santoro contiene alcuni racconti che “possono
essere considerati un vero e proprio studio sullo statuto della soggettività
cinematografica” (p. 24).
Nel secondo capitolo, Santoro prende in esame gli
articoli che Calvino scrisse sul cinema nel corso degli anni Quaranta e
Cinquanta, prima su “L’Unità” e poi su “Cinema Nuovo”, mettendo in evidenza
come in quel periodo Calvino avesse maturato un distacco evidente dal cinema
americano, con le eccezioni di maestri come Orson Welles, Frank Capra e Charlie
Chaplin. Quest’ultimo in particolare, secondo Calvino, ebbe il merito di
trasformare il cinema “da fenomeno da baraccone in una delle più grandi arti
moderne” (p. 29).
In quegli anni Calvino si occupò anche di cinema
giapponese e sovietico, ma i suoi interventi più interessanti sono quelli
dedicati al cinema italiano.
Lo scrittore sanremese dimostrò sempre un vivo
apprezzamento per Antonioni, regista che fin dai suoi esordi “si è presentato
come un amaro cronista della generazione borghese del dopoguerra” (p. 40).
Negli scritti calviniani sul cinema si trovano parole di apprezzamento per LE
AMICHE (tratto dal romanzo di Pavese TRA DONNE SOLE), L’AVVENTURA e L’ECLISSE, le
cui sequenze finali, a detta di Calvino, mostrano “un cinema dell’occhio puro
che è proprio il contrario del romanzo del puro regard” (p. 50).
Tuttavia egli non è affatto un critico indulgente, come
dimostra il giudizio negativo su ROCCO E I SUOI FRATELLI di Luchino Visconti e
su un cinema che mostra un chiaro legame con il realismo letterario e le grandi
architetture narrative del romanzo ottocentesco. Calvino espresse forti
perplessità anche su LA DOLCE VITA e, in generale, su tutto il cinema di
Fellini, viziato da quello che lo scrittore definì anti-intellettualismo
programmatico e, scrive Santoro, da “una certa ideologicità di stampo cattolico”
(p. 50). Ma l’autore verso cui Calvino espresse la sua critica più aspra è
Pasolini, il cui VANGELO SECONDO MATTEO egli definì senza mezzi termini “una
cosa priva di qualsiasi significato e dilettantesca” (55).
Il terzo e ultimo capitolo del libro prende in esame
quello che Santoro chiama il passaggio “dalla pagina allo schermo”, cioè le trasposizioni
su pellicola dell’opera calviniana. Non molti, a dire il vero, sono i film
realizzati a partire dagli scritti di Calvino; inoltre, i registi che hanno
lavorato sui testi calviniani hanno mostrato di privilegiare nettamente i
racconti rispetto ai romanzi.
Il caso forse più noto di trasposizione è quello di RENZO
E LUCIANA, il primo episodio del film BOCCACCIO 70, che è tratto dal racconto L’AVVENTURA
DI DUE SPOSI. In realtà, come sottolinea Santoro, il soggetto inviato da
Calvino a Suso Cecchi d’Amico venne del tutto stravolto, prima da Giovanni
Arpino (a cui era stato affidato il treatment
definitivo) e poi dal regista Mario Monicelli, che attraverso i nomi dei
protagonisti volle chiaramente istituire un parallelo tra la vicenda narrata e I
PROMESSI SPOSI.
Santoro ricorda anche L’AVVENTURA DI UN SOLDATO, un
mediometraggio diretto e interpretato da Nino Manfredi tratto dall’omonimo
racconto calviniano. La pellicola, caratterizzata da un efficace uso del
montaggio e dalla riduzione dei dialoghi allo stretto necessario (non più di
una dozzina di battute), fu fortemente apprezzata da Calvino il quale, come si
è detto, privilegiò sempre nel cinema l’aspetto visivo rispetto a quello
linguistico.
Un’opera curiosa e poco nota è IL CAVALIERE INESISTENTE,
realizzato nel 1969 da Pino Zac con una tecnica mista che faceva uso di attori
in carne e ossa, disegni e animazioni in stop
motion.
Per quanto riguarda la televisione Santoro ricorda
soprattutto MARCOVALDO (uno sceneggiato in sei puntate diretto da Giuseppe
Bennati e caratterizzato principalmente dall’interpretazione di Nanny Loy nella
parte di Marcovaldo) e due mediometraggi realizzati da Carlo di Carlo per la
televisione della Repubblica Federale Tedesca, tratti dai racconti calviniani L’INSEGUIMENTO
e L’AVVENTURA DI UN LETTORE. L’AVVENTURA DI UN FOTOGRAFO, che è quasi un saggio
in forma narrativa sulla fotografia, fu invece portata sullo schermo da
Francesco Maselli, che però, scrive Santoro, vi inserì “una curvatura fortemente
autobiografica” (p. 103).
In seguito il regista americano Alan Taylor realizzò PALOOKAVILLE
(1995), un film che riprende e riattualizza tre racconti tratti da ULTIMO VIENE
IL CORVO, con particolare interesse alla struttura narrativa, fatta di simmetrie
e di opposizioni come in un gioco combinatorio.
In chiusura, Santoro ricorda infine un documentario di
Roberto Giannarelli, L’ISOLA DI CALVINO, andato in onda nel 2006 su Raitre, che
analizza la relazione tra i luoghi fantastici descritti nella trilogia I NOSTRI
ANTENATI e quelli in cui lo scrittore trascorse
la sua infanzia.
CALVINO E IL CINEMA è dunque un testo interessante e ben
documentato, utile per ricostruire il rapporto con il cinema di un autore che fece
sempre dell’occhio il protagonista assoluto della propria opera.
[Daniele Fioretti]