110.
il dossier del mare ulula l’enigma
la strada chiusa mattanza
dentro la solitudine del bavero.
così si dice che l’occaso penetri
le cicale ottimistiche di luce
dove il coma è calar la fronte
nel lato senza eremo del baratro.
111.
sull’avaria del commiato sto sbilenca
frottola di me che sa di ottuso
sotto il senso terso della fine.
qui il coma di starsene
con le sevizie nere del polline
velenoso. la camera mortuaria
è una sconfitta intera, un ladrocinio
di chele. la trottola di essere alunno
con un maestro in stato di guerra.
tu se puoi ritrova quel bottone
che salutò il principe come un occaso
pelvico. e la staffetta del petalo ritorni
a visitar la festa di starsene sentieri
ieri a capo di rondini e verdetti.
insieme all’erta del panico allo specchio
la salma scura della giovinezza.
112.
svolta di darsene sentenziar la vita
capannone di eremi arcipelaghi di nomi.
qui la pronunzia dell’erba vitalizia
regala passi e sismi d’amore.
la rovina è un oceano di resti
stimati per sentori d’anima.
ma non basta forzare le stimmate
per un giardino incantato. qui resta
ottuso il diverbio e la setta trionfa
in varie zone del cervello. fanga
di attrito la tua rotta tutta tragica
di cani sciolti senza tozzi di pane
con rancori da consumare sulle soglie
del bagliore del giorno. chiamami amore
non saprò distinguerti dal sogno alla violetta.
113.
all’oratorio ci è passata
una rondine d’infanzia
rivolo di aceto l’alzabandiera
quando le medaglie le davano
ai buoni della squadra della camerata.
una cosa tristissima restare per balbuzie
nonostante il chiasso degli altri
bambini, di coccole nemmeno a parlarne
giacché il coma del riso era tutto un pianto
di nostalgie pagane. le piaggerie del pugno
erano dovute alla cialda marcia regalatami
dalla nonna all’insaputa. i capelli ora s’imbiancano
senza pazienza, le scommesse del quadrifoglio
non avvelenano più nessuno. è solo uno starsene
nel ghetto a sciupare le parentesi di gioioline.
da qui scappò dai Tedeschi mio padre agile
gatto sui tetti. le veneri del sogno sono teschi
oramai. è tutto un male di fragili credi di cenci
per sempre letargici. la frutta è appassita
in un inverno di sassi. così si spande la fretta
di crepare. pare avvenga alle costole incrinate.
114.
i fiori sono appassiti in una regia di scempio
una nenia viola ha strappato i petali
dentro le cosce dell’ultima donna.
le ortiche e le meduse pizzicano
le caste onorificenze delle onde.
qui un calore di fuga simula la gara
con le marmoree letargie del pianto.
non ho volo dove permettermi le ali
o le scimitarre pessime del vento.
in mano alla carcassa di resistere
la canzone si slava in un ritornello
audace carretta della naia di perdere
zona d’occaso ombra di ristoro.
115.
il cantiere delle parvenze
è un salario a vuoto
una nobildonna senza gioielli
una bile senza fegato.
qui tra bivacchi e erbe viete-vuote
strimpella un alamaro la sua divisa
esausta. stanza senza sosta di riposo
questa parcella d’animule a pagare
di zaino con la merenda darsena.
in furia allo scrivano dello zonzo
sta la stampella della giostra
in bilico chissà su che chimera.
116.
avevi l’età notabile del cielo
il viso tascabile di un’aureola
quando s’inciampa in una resina d’eclissi
e le ciabatte non servono al riposo.
così piangeva l’arena dello stabile
quel cortile ingenuo con la nicchia
per la bestemmia tragica dell’alba.
nel bar del secolo si stempia
il lumacone per il corvo dell’allerta
quando senza etica la guerra
perlustra le canzoni della morte.
il lustro del canestro è aver canestro
oltre le prove che connettono nel vile
questo strapiombo strazio dentro il polso.
breccia di alunno invasato dal rispondere
sa le cornucopie delle nebbie
se non altero il vento si fa bonaccia.
[Le strofe precedenti di VIGILIA DI SORPASSO sono uscite su "Carte allineate" in data 27-11-2010, 17-12-2010, 19-1-2011, 21-3-2011, 7-4-2011, 21-5-2011, 3-6-2011, 11-8-2011, 5-9-2011, 11-11-2011, 3-12-2011]