03/08/11

Pia Arletti e Franco Ferrini, AGAPORNIS SUITE HITCHCOCK

Un esordio letterario è sempre una scommessa, ma sembra l'abbiano vinta al primo colpo Pia Arletti e Franco Ferrini, psicologa lei e sceneggiatore lui, entrambi di La Spezia, che hanno dato alle stampe un romanzo scritto a quattro mani, con protagonista niente meno che il genio del cinema Alfred Hitchcock, nell'insolita veste di paziente in crisi psicologica.

AGAPORNIS SUITE HITCHCOCK (Milano, No Reply, 2011) è il racconto, ambientato a Beverly Hills nel 1965, di una psicoterapia brevissima: due sedute che Hitchcock, allora sessantacinquenne, avrebbe avuto (ma la storia è pura finzione) con la psicologa May Romm (quest' ultima veramente esistita), sua consulente nel film IO TI SALVERÒ.

Hitch (così preferisce farsi chiamare, evirando il suo cognome dall'ultima parte cock, che in inglese significa “gallo", o "esemplare maschile di volatile”, ma anche “pene”) sta male: è insoddisfatto del suo ultimo film MARNIE, ma il disagio che avverte è più profondo e, forse, ha radici lontane.

Quando varca lo studio della dottoressa Romm, il genio del cinema mostra tutte le sue debolezze: suda, si agita, somatizza il suo disagio con un irrefrenabile attacco di colite; ma, pur controllandosi per esperienza professionale, è imbarazzatissima anche la dottoressa Romm che, visto il rapporto travagliato che ha avuto col suo paziente durante le riprese di IO TI SALVERÒ, riesce con difficoltà a padroneggiare la situazione.

Il romanzo, dopo un avvio un po' stentato, si snoda con dialoghi serrati e continui colpi di scena, quasi come una pièce teatrale: il lettore è trascinato in un vortice degno di VERTIGO, fino al finale, con una terza seduta mancata, che spiega (anche se non del tutto) il titolo del libro.

Un'opera che lascia qualche perplessità sulle reali intenzioni dei due autori, ma che, letto come divertissement, e per gli appassionati del cinema e di Hitchcock in particolare, è un libro piacevole, pur con qualche (voluta?) inesattezza.

Un libro che, forse, vuole essere una critica alla stessa psicanalisi, o almeno all'idea salvifica di essa e che comunque ci svela, pur nella finzione, molti aspetti reali della personalità del regista inglese. Gli autori, infatti (non dimentichiamo che Ferrini lavora da più di trent'anni nella cinematografia) si sono dettagliatamente documentati, rendendo la storia credibile e mischiando abilmente realtà e finzione. Come nel grande cinema.

[Gabriella Mignani]