29/01/11

Zygmunt Bauman, L’ARTE DELLA VITA


[Shopping and imaginative art (From the walls of Brussels). Foto di Marzia Poerio]

Titolo dell’edizione originale THE ART OF LIFE (2008). Traduzione di M. Cupellaro, Roma-Bari, Laterza, 2009

La felicità è qui intesa come momento fondante della modernità, già nell’illuminismo intesa come “diritto universale dell’uomo” (p. 5).

Mentre in anni recenti le società prospere dell’Occidente sono diventate sempre più ricche, “non è affatto chiaro se con ciò diventino più felici” (p. 3). I parametri utilizzati nelle inchieste ufficiali sembrano suggerire che la felicità debba essere collegata alla crescita materiale; nondimeno, nota Bauman, ciò che fornisce felicità autenticamente non è reperibile sul mercato, bensì nelle emozioni, nella dimensione comunitaria e nell’autorealizzazione: amore, amicizia, cura per gli altri, autostima, operosità. Di ciò il volume riscontra ampie conferme nella storia culturale, in parte citando i filosofi classici dell’etica come Seneca, in parte contrapponendo in negative il superomismo nietzschiano. Da queste premesse Bauman procede ribadendo vari temi del suo pensiero.

L’identità, osserva, è divenuta un attributo provvisorio, soggetta a una “trasformazione permanente” (p. 94); eccede dunque dalla costruzione progressiva della personalità per aggregazione, ovvero dal “progetto di vita” formulato a partire dalla gioventù, che in parte autobiograficamente il sociologo polacco ascrive, rispetto alla sua generazione, all’influsso di Sartre e che oggi non avrebbe senso in una compagine sociale frammentata in cui le aspirazioni personali si modificano col mutare delle fasi di vita e conducono in parte a un’incertezza che quasi per definizione si oppone al godimento della felicità se si presume che essa sia fondata su una pienezza stabile. Se in passato il rapporto degli individui col passato era importante per vivere anche il presente, a parere di Bauman “per i nuovi giovani esiste solo il presente” (p. 67).

Si tratta di una “nuova ideologia […] conservatrice […] nel senso in cui per Mannheim lo sono le ideologie (all’opposto delle utopie). Essa innalza a leggi insuperabili dell’universo le esperienze quotidiane del mondo in cui si vive in quel momento ed eleva a unico punto di vista da sia possibile definire lo stato dell’universo la prospettiva dell’individuo-per-decreto” (p. 117).

Il modello del consumo fondato sulla non soddisfazione del desiderio e una tendenza ad acquisire di più e di meglio in futuro oltre che a gettare quanto si è fruito informa di sé anche le scelte di vita e i comportamenti interpersonali. La conclusione di Bauman su questo punto è una domanda retorica: “lascio ai lettori decidere se la coercizione a cercare la felicità nella forma praticata nella nostra società dei consumatori liquido-moderna renda felice chi vi è costretto” (p. 65).

Uno degli elementi dell’infelicità contemporanea è la diversità gerarchica dagli altri, col paradosso secondo il quale, nella nostra società, “ognuno ha il diritto di considerarsi uguale a chiunque altro, ma di fatto non è in grado di esserlo”, dal che consegue che “la vulnerabilità è (almeno potenzialmente) universale” (p. 34); e si crea divisione tra gli individui privatizzati vengono contrapposti gli uni agli altri, col che “si aggrava la conflittualità” (p, 118).

Mancano “punti di riferimento solidi e affidabili” e “guide degne ddi fiducia” (p. 111), che sono state sostituite dai modelli di riferimento proposti dai mass media.

L’egoismo prevale sull’altruismo, ma al contempo l’individuo si apre verso l’esterno.


[Roberto Bertoni]