11/10/10

Jean Kwok, GIRL IN TRANSLATION

Londra, Pneguin, 2010

Strano questo bestseller, che per metà è una denuncia del lavoro alienante gestito in forme semilegali e sottopagate in una comunità cinese degli Stati Uniti e per l'altra metà è una storia americana di successo individuale dovuto alle opportunità previste per i meritevoli a livello scolastico e con ascesa verso la carriera.

La protagonista è, all'inizio della storia, la bambina undicenne Kim, emigrata assieme alla madre, ex insegnante di pianoforte, in America per raggiungere la zia, sorella della madre, che ha promesso un lavoro di badante del figlio e la condivisione della casa di classe media benestante, posseduta in funzione di un matrimonio con un emigrante fortunato: avrebbe dovuto sposarlo la madre della protagonista, ma lo ha invece sposato la zia in quanto la sorella ha fatto un matrimonio d'amore, anziché di interesse, tragicamente risoltosi nella vedovanza, da cui l'emigrazione con la perdita di status e di una certa, pur non doviziosa, sicurezza a livello di inserimento sociale e di sopravvivenza economica.

Madre a figlia si ritrovano in una situazione dickensiana. La zia tradisce le promesse, anzi costringe Kim e sua madre a vivere in un luogo senza riscaldamento, con tela cerata alle finestre, in un quartiere diseredato, con case di prossima demolizione. Per manteneri, nonché per ripagare i debiti delle cure mediche affrontate dalla madre di Kim prima di partire e del viaggio verso gli Stati Uniti con denaro prestato dal marito della zia, Kim, oltre ad andare a scuola senza sapere inizialmente l'inglese, deve ogni pomeriggio fino alla sera tardi aiutare la madre nell'opificio di abbigliamento con lavoro clandestino, un pezzo per pochi centesimi, pagamento a cottimo, in situazioni non solo di miseria, ma di oppressione oltre che di mancanza di norme di sicurezza sul lavoro. Ne risulta dissacrato il concetto cinese così importante di collaborazione all'interno della famiglia e viene affrontato lo sfruttamento del lavoro manuale e minorile.

La fibra etica della ragazzina è di solidità ammirevole se riesce col passare degli anni scolastici a superare l'irrisione di certi compagni di scuola, fare amicizia con una coetanea americana, imparare l'inglese, riuscire così bene da usufruire di borse di studio, emancipando infine se stessa e la madre dal controllo della zia malefica e sottraendosi all'indigenza più estrema.

La ritroviamo anni dopo con il figlio che ha avuto, senza rivelarlo al ragazzo che ne è il padre e che, pur innamorato di lei ha sposato un'altra conducendo una vita familiare tranquilla, mentre Kim ha perseguito l'università e la carriera di medico: scelta compiuta quando si era scoperta in attesa di un figlio per non dover rinunciare a un futuro che il fidanzato non avrebbe consentito data la propria impostazione piuttosto tradizionale.

Se la corda sentimentale è piuttosto tesa, anche troppo a parere di chi scrive queste note, e l'American dream pare realizzato con ideologia, si direbbe, condivisa dall'autrice, c'è un elemento di realtà che rende questo libro di interesse.

[Roberto Bertoni]