23/10/10

Angelo Tonelli, DUE POESIE DA CANTI DEL PIÙ VASTO FIUME


[Corrected stele (Lunigiana 2009). Foto di Marzia Poerio]


1.

scintillano dal mare sempre calmo
riverberi di mille e mille vite
lanciate contro il cielo nell’agosto
del fuoco culminante, fino al cuore
dell’inverno che pietrifica il sentire
e scava longitudini di tempi
ascosi, rinascenti,
quando saetta la folgore citrina
dell’attimo. Rifulge
per un istante il palpito più intenso
di tutta la catena di esistenze
accese, arse, infine spente
allo schiocco di dita degli dei
di quarzo e di corallo, i rimiranti
le trame variopinte della phýsis,
la morsa di metallo dell’anánke


2.

“che cosa tiene il mondo?”– chiede
ridendo il pescatore dal sorriso
ellenico – “perché non franano
l’Artide nell’Antartide, il Pacifico
nell’Atlantico? che cosa regge
la compagine infinita del pianeta
blu, la pista sterminata delle stelle?”
Intanto il fiume
si fa lago qui sotto le colline
verdi del Carpione, lambisce
come al solito la riva, mentre il vento
porta rumori lontani: la risposta
è scritta nelle trame delle cose
nella bellezza intrisa di dolore…o forse
tra le dita dell’arciere bianco
che compare al centro dell’azzurro, mentre pullulano
a pelo d’acqua i pesci più curiosi
di luce, e il sole riaccende
le acque verdiscure ed è un trionfo
di giallo, di silenzio, di radure
segrete. La risposta
risuona nel mistero che compone
ogni corpo, ogni pensiero, labirinto
o icona del perpetuo, bilanciato
cuore delle cose, occhio invisibile
di un dio senza nome e senza voce
che si guarda nello specchio e vede il mondo