15/04/10

Roberto Bertoni, APPUNTI SU MEDEA DI EURIPIDE E DI PASOLINI

1. MEDEA DI EURIPIDE

Nella MEDEA di Euripide l’azione si svolge a Corinto, dove Medea e Giasone sono andati dopo la spedizione del Vello d’Oro nella Colchide e la tappa a Iolco ove Medea, per restaurare il regno nelle mani di Giasone, fa in modo con la magia che le figlie di Pelia (il re) lo uccidano. Questa e altre parti della storia sono rivelate dalla nutrice o dal coro come antefatto in varie parti della tragedia, che si concentra sulla vendetta di Medea contro Giasone quando questi decide di sposare Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto. La vendetta di Medea è attuata per mezzo di una veste avvelenata, che fa portare a Glauce dai figli per implorare che almeno loro non vengano esiliati dalla città, come ha invece stabilito Creonte per timore di Medea e della sua magia. Glauce accetta, ma la veste è avvelenata e la uccide. Il padre Creonte si getta su di lei, morendo anch’egli. Al ritorno dei figli, Medea li uccide; la ragione che viene fornita è che sono suoi e non potranno sopravvivere comunque alla gravità dei fatti, ma anche per deprivare Giasone della progenie. Si è assicurata una via di fuga, facendosi promettere dall’ateniese Egeo, senza dirgli del suo piano di uccidere i propri figli e Glauce, che la accoglierà ad Atene, il che avviene. Il viaggio verso Atene si svolge sul carro messo a disposizione dal Sole, nonno di Medea.

La versione di Euripide mette in rilievo soprattutto cinque aspetti:

- 1. la pietà per Medea tradita dal marito e ridotta a “esiliata, / umiliata” e la posizione difficile delle donne;

- 2. La passione cattiva consigliera delle relazioni tra uomini e donne: “un'ira irrimediabile”; l'idea positiva, al contrario, dell'amore vissuto con moderazione.

- 3. La vendetta come forma di rappresaglia forte nei confronti del torto subito. La tragedia si interroga se questo sia giusto o meno e sul fatto che “ciò che è giusto è errore”, come dice il Coro; e più oltre manifesta simpatia umana per Medea, ma rammenta l'esistenza delle leggi e avverte Medea che non può sulla base di esse uccidere i figli.

- 4. L’imprevedibilità degli eventi umani, o come dice il Coro a conclusione della tragedia: “L'inatteso è il modo di operare degli dèi. / la morale di questa storia”.

- 5. Medea è simbolo di una situazione storico-sociale primitiva. Medea è un personaggio di una cultura magica, che “spaventa” come dice Creonte. Secondo Giasone il luogo di provenineza di Medea è incivile, in contrapposizioone alla Grecia intesa come sede di civiltà e razionalità. Più ancora, di nuovo Giasone dice di avere condotto Medea in Grecia dal suo paese "primitivo"; ritiene che l’atto di Medea non lo avrebbe potuto commettere una greca; la definisce mostruosa e selvaggia.


2. MEDEA DI PASOLINI

L’approccio nella versione cinematografica di Pasolini è di rimitizzazione [1]. C’è una lettura basata su fonti classiche (il Centauro Chirone di cui parla Pindaro in relazione a Giasone; parti della spedizione degli Argonauti narrata da Apollodoro; e nell’ultima parte del film un rifacimento della tragedia di Euripide). La continuità è data dalla storia, dalla recitazione e da aspetti ideologici.

In particolare, occorre riferirsi all’idea di Pasolini che il mondo arcaico fosse stato devastato dalla civiltà industriale; e potesse e dovesse riemergere la visione arcaica e populista di CENERI DI GRAMSCI (1956):la “vita proletaria [...] anteriore” al socialismo, più che “la [...] sua lotta”, “la sua coscienza”. Ecco che su queste basi Pasolini scrive: “urlo, mi indigno contro la distruzione delle culture particolari, perché [...] vorrei che le culture particolari fossero un contributo, un arricchimento e entrassero in rapporto dialettico con la cultura dominante” [V, 52-54]. La ricostruzione pasoliniana di MEDEA, insomma, è fondata su uno degli atteggiamenti della nostalgia moderna del passato, che valuta il mito positivamente

C’è un registro etnologico. Si veda la scena del sacrificio all’inizio del film, ricostruita come se fosse un rituale vero, religioso. In questo senso l’aspetto di culto del mito è importante.

Il mito come rievocazione archetipica si nota nel rapporto di Medea col Sole (scene a Corinto quando Medea medita l’uccisione dei figli).

Il contrasto tra civiltà e barbarie è indicato in tutto il film. La prima parte, il sacrificio, ma anche la rappresentazione della popolazione di Medea, è di tipo tribale, quindi anche il primitivismo del mito ha un ruolo importante. Sul piano psicologico si sottolineano l’oracolo, il destino, l’ineluttabilità degli eventi. Si evidenzia il contrasto tra la visceralità antica e il cinismo moderno, per esempio nel diverso atteggiamento degli Argonauti e di Medea nella scena in cui si allontanano dalla Colchide. Inoltre l’appello di Medea, nella stessa scena, alle forze magiche (“Guardo il Sole e non lo riconosco”) indica la perdita dei poteri fuori della sua terra, fuori dal contesto olistico in cui il mito esiste come credenza e fatto rituale allo stesso tempo. I poteri vengono recuperati quando Medea decide di compiere un altro atto rituale per punire la civiltà che la esclude sottraendole Giasone e i figli. Giasone stesso dice a Pelia, riguardo al Vello d’oro: “Questa pelle di caprone, lontana dal suo paese, non ha più alcun significato”.

“Hai conosciuto due centauri, uno sacro e uno sconsacrato, che sono dentro di te”, afferma Chirone in forma umana quando Giasone torna nella civiltà a Corinto; e rivela il “disorientamento di donna antica in un mondo che ignora ciò che ha perduto”. Il Centauro vecchio, quello in forma metà umana e età equestre, già visto all’inizio del film, è il mondo arcaico, mentre il nuovo è la razionalità e la modernità e allo stesso tempo rappresenta la voce del regista e la sua opinione sui fatti.

C’è una tendenza universalistica. Il mito è globalizzato, appartiene a popoli di tutto il pianeta, come segnala la commistione di motivi greci e di altre culture. Per esempio, nelle scene a Corinto, nella casa di Medea, il tutore dei figli suona una cetra cantando in giapponese. La scena delle donne, successiva a quella dei cavalli nella prima parte, è accompagnata musicalmente da un coro di donne bulgare. La prima parte del film, che nella storia di Apollodoro si svolge nel Mar Nero, è girata in Cappadocia.


NOTE

[1] P.P. Pasolini, MEDEA, Milano, Garzanti, 1970 (testo del film). Film: MEDEA, LE MURA DI SANAH, dvd Rarovideo.