27/12/08

APPUNTI SULLE STAGIONI E SUI CANTI D'ORIENTE E D'OCCIDENTE DI GIUSEPPE CONTE


[Musa. (Collezione privata)]


Il rapporto di Conte con D'Annunzio è segnalato dall'autore stesso. Ad un certo livello è una sovrapposizione della poesia intesa come azione, che Conte vive come "libertà asssoluta" [CO, 110] [1]. Su un piano linguistico ci sono riferimenti dannunziani nel lessico e nel ritmo. In Le stagioni, in nota a "Estate. Poseidone", il verso di Conte "estate non declinare" è riferito a verso di D'Annunzio "Estate, Estate mia, non declinare!" da Alcyone, "Madrigali d'estate" [S, 39]. Più in generale, come necessità sentita dall'autore di prendere le distanze da "quel D'Annunzio con tutte le sue ondosità musicali che serpeggia a volte nel mio lavoro" [CO, 124], a cui dichiara di preferire la linea poetica che unisce Pascoli e Pasolini; ed in effetti l'uso del simbolo sta tra Montale-Eliot per il correlativo oggettivo e Pascoli per il simbolismo; l'apporto di Pasolini è, si direbbe, la metrica fondata sull'endecasillabo, con variazioni tra decasillabo e novenario, che Conte designa come versi costruiti ciascuno come gruppi di unità di tre e quattro sillabe [CO, 125]. Tuttavia, di Pasolini emerge, collegato a Foscolo, il rapporto con la vita reale vissuto con passione: il "Capitano Foscolo" e le sue "innamorate, esuli, illuse bandiere" [CO, 110]. Più specificamente pasoliniana è la dialettica tra aspirazione all'ascesi e carnalità riassunta così, concisamente: "Ho servito i piaceri / e ho servito la Luce" [CO, 27]; "io sono sempre la carne e sempre l'anima" [CO, 88].

In Conte, gli influssi montaliani sono in alcuni casi nel linguaggio, anche se non con ampia frequenza, in ogni caso più nelle prime due raccolte che in seguito: vistoso ad esempio "botri", parola rara adoperata in La bufera e altro, che ricompare in "Le stagioni del fuoco", I [S, 108]; entro un contesto dinamico, che parrebbe, pur spostando l'immagine dal mare verso la terra, percorsa dai cavalli, interpretare il senso dell'anguilla di Montale come "anima", o in ogni caso dare vita come vita dà l'anguilla all'interiorità. Così in Conte, "Come cavalli rovani / in corsa sul confine / di lunghe sabbie e di botri / va l'anima, attraversa / il regno del fuoco" [S, 108]. Il mare, come in Montale, compare tuttavia anch'esso frequente in Conte, ma in un contesto personalizzato: "[...] sono un'onda della mareggiata" [CO, 101]; e quindi con una passionalità che in Montale è invece controllata e trattenuta.

Più in generale, rispetto all'apporto montaliano, ha ragione Italo Calvino a notare come, da un lato, dopo Montale, Conte, per lo meno in L'oceano e il ragazzo e Le stagioni, si pone in una linea definibile come ligure perchè anche per lui, come per Montale ed altri poeti liguri, il paesaggio è costante punto di riferimento e si trasforma in "ragionamento"; ma a differenza di Montale, Conte va in direzione opposta alla "scarnificazione, smorzamento, prosciugamento" [S, 20]. In verità, Conte utilizza un flusso non montaliano delle parole, una retorica dell'abbondanza verbale che, pur se trattenuta entro i limiti dell'italiano per lo più standard, non è esente dalla dichiarazione esplicita dei sentimenti di vita e di morte: "I poemi nascono così: la vita / è sorella della morte / come lo è il verbo del silenzio" [CO, 78], con una reminiscenza anche leopardiana, appunto da "Amore e morte" dei Canti.

Vita e morte sono collegati agli archetipi, come in questi versi: "Acqua della fine / Acqua del principio / l'anima ti attraversa / forse su nave o naufraga / tra venti immani, o forse / a nuoto, a nuoto / e lenta, come un loto, / una zattera" [S, 92]. Si affacciano frattanto simboli interiori e spirituali, si veda: "staremo allora nella luce, nella / verità / e ciascuno di noi conoscerà / il suo Dio" [S, 109].

La poesia, per Conte, ha una missione. In LE STAGIONI, la poesia è verità e la la verità è luce: "Dopo, passato anche il fuoco, ci sarà / soltanto la verità della luce" [S, 109]. In seguito, in Canti d'Oriente e d'Occidente, nei "Canti di Yusuf Abdel Nur" (XXXIX), la poesia assume una funzione di diretta salvazione in un universo storico che, in "Ai lari", va in catastrofe e in dissolvimento: "Dalla tua angoscia di strage e razzia / riposati ora, fratello, la poesia // ci ha salvato" [CO, 59].

La poesia salva da un mondo in cui "La fame dell'oro è contagiosa / e incurabile, ben più di un colera. / Hanno vinto ogni guerra frode e usura" [CO, 78]. La salvazione avviene tramite e l'utopia (il sogno): "[...] io vengo a te, a chiederti / la forza di combattere, di essere / fedele sino in fondo al sogno" [CO, 81]. Su un piano politico si tratta di un sogno democratico e indipendente; il poeta si definiscce "figlio dell'energia democratica" e precisa: "non appartengo a nessuna casta o dinastia, a niente mi inchino" [CO, 101]. Si tratta di una democrazia panica "dei poeti, delle onde, degli alberi, degli astri, dello spirito, dell'energia" di chi "non si sottomette" [CO, 110-11].

Su un piano esistenziale di ampia portata, collettivo, la poesia è il linguaggio che assomma in sé le varie contraddizioni della realtà. In "Oh Omero, Oh Whitman", abbiamo in questo contesto toni religiosi indù (Shiva distruttore-salvatore) mediati dalla contemperazione degli opposti junghiana: "e dire 'io sono il poeta, il distruttore, io sono il poeta, colui che salva'" [CO, 88].

La religiosità (del tipo peculiare di questa citazione) è piú oltre confermata: "[...] questo linguaggio, eredità di Dio e dei poeti, è ancora preghiera e danza" [CO, 92]. Lo scopo, anche della "carne" è pervenire al placarsi dei sensi e alla conoscenza di Dio: "La meta del desiderio è la fine del desiderio, la meta del piacere è la fine del piacere. / L'anima non ha altra meta che essere, la pienezza dell'essere - se l'essere è Dio - / e la Parola, la pienezza della Parola, - se è vero che abita all'inizio presso Dio ed è Dio - [CO, 105]. La poesia, come la natura ed il mondo reale tuttto, è percorso dal senso del sacro: "Sacra, sacra, sacra la Parola, la Terra, la mano che scrive e che carezza, la nuvola, la volta del cielo" [CO, 105]. Infine, dantescamente con l'assimilazione di "anima" a "farfalla", "sacra" è " la presenza dei vivi e delle loro anime-farfalle piene di desiderti / e la memoria dei morti e delle loro anime-farfalle in cui sono assenti i desideri" [CO, 106].


NOTA

Giuseppe Conte, LE STAGIONI (abbreviato in S), Milano, Rizzoli, 1988; CANTI D'ORIENTE E D'OCCIDENTE, Milano, Mondadori, 1997 (abbreviato in CO).


[Roberto Bertoni]