21/09/08

Francesco Biamonti, IL SILENZIO

Torino, Einaudi, 2003


Si tratta dell'inizio di un romanzo pubblicato postumo, che Biamonti progettava con "il titolo ipotetico" IL SILENZIO, come si deduce dalle interviste rilasciate per il "Secolo XIX" nel 1998 e 1999 ad Antonella Viale e per il "Giornale del Popolo" di Lugano nel 2000 a Manuela Camponovo, allegate al volume.

L'idea era di "raccontare i disastri delle ideologie morenti" (p. 41) e di evitare ogni consolazione ("sto cercando di affrontare la realtà del nostro tempo senza più consolazioni", p. 38), anche quella che l'autore riteneva avere riposto fino ad allora nella descrizione della natura:

"Abbandonerò la natura come consolazione. Nei miei romanzi la natura va dalla vita alla morte, dalla morte alla vita, è completamente metamorfica, lo spazio è inficiato, il tempo è malato e il mondo è un abisso. Però molti si consolano con le mie descrizioni delle nuvole, del cielo, del mare. Ora non voglio più offrire questa consolazione, voglio che questo diventi un ulteriore pungolo all'angoscia che investe tutta la nostra coscienza" (p. 38).

Non a caso, Biamonti cita nelle interviste Dostojevskij e Leopardi.

Il romanzo doveva avere due personaggi principali, uno giovane "che vive in una cieca nebbia" e un altro "che contempla le rovine del mondo". Biamonti progettava uno stile che definiva "un realismo assoluto, metto sempre l'uomo in situazione, a confronto con le cose [...]. Omero non dice che Elena è bella, dice: 'quando entrò tutti gli uomini si alzarono in piedi'" (p. 37).

Nelle pagine pubblicate, Edoardo, il protagonista maschile, ex navigante, ha una storia con Lisa, il cui marito da giovane è stato ucciso dai suoi complici perché traditore di un gruppo terrorista. Un'amica di Lisa, Hélène, entra in clinica per aver tentato di suicidarsi a causa di un coniuge drogato che la vicinanza di lei aggrava.

Lo stile del brano riferito in questo volume senza le varianti, ma inferendo dalle correzioni sul manoscritto come sarebbe stato nell'ultima versione disponibile, tiene fede alle premesse di poetica esplicita, rendendo in effetti le situazioni, come anche altrove nei testi di Biamonti, indirettamente, attraverso le parole e gli atti dei personaggi.

La disperazione è associata al silenzio in una scena idillica infranta:

"Adesso c'era silenzio. Ma che sere! Che melodie! Grumo di tenerezza: pastore, cane e capre, avvolti dal vento che saliva dal mare. Mano del pastore sulla testa del cane, e muso del cane sulle ginocchia del pastore. Suonava per lui e per il suo cane, tra l'indifferenza delle capre. Adesso c'era silenzio e nulla in cui sperare" (p. 4).

I riferimenti alla natura, sebbene nella chiusa antiidillica come qui sopra, costituiscono, come già in Leopardi (e con un riferimento alla vittoriniana “quiete della non speranza?) un elemento di lirismo, quasi la presenza costante della natura non potesse essere sfiorita del tutto ed elusa; rappresentano inoltre un fattore di contatto con le emozioni.

Il luogo in cui abita Edoardo è "un po' fuori del mondo", con una terra caratterizzata oltre che da silenzio, anche, metaforicamente, dal fango: "la terra sotto i noci era fango e silenzio" (p. 5). La scena è tutt'uno col sentimento della negatività, come pure con quello dell'inanità nel brano in cui si legge: "un luogo dove terra e cielo cozzavano l'uno contro l'altro, di luce forte che non serviva a niente" (p. 11).

Nondimeno, altrove, la descrizione dei fiori, delle cime, della realtà rurale è precisa e connotata anche in modo positivo, o comunque poetico, surrealmente lirico: per esempio, a corrispettivo di "un fondo di tristezza", si trova "un muro viola" che "stava sospeso in un cielo ancora diafano" (p. 14).

Si anima soprattutto il mare, che è "il luogo dei ricordi" (p. 8) non solo funzionalmente alla professione precedente di Edoardo, ma si direbbe anche per un inconscio che mira verso la liquidità e l'acqua mentre la parte razionale cerca il silenzio, la riduzione del passato a sillabe che eludono l'esplicito.

Quel che leggiamo in questa versione breve del SILENZIO non pare un incipit a chi qui scrive queste note, ma a confronto con altre opere di Biamonti, così aperte e segrete, sembra un racconto compiuto in sé, in cui il silenzio potrebbe forse essere meglio definito, nei rapporti umani, come reticenza, difficoltà a dire di sé, forse volontà di evitare il dire di sé, come fa Edoardo che accenna al passato di marinaio ma non vuole descriverne i dettagli.

Il silenzio, tuttavia, non è ammesso con facilità dall'inconscio, non è troppo possibile nell'intimità degli innamorati, come sembrano intuire Edoardo e Lisa quando l'autore avverte che "contraddicendosi, facendo il contrario di ciò che si erano proposti, parlarono sino a giorno fatto" (p. 19).

Allo stesso modo la tendenza della volontà verso l'oblio ("non voleva che il chiaro lo cogliesse per strada, con tutto il suo corteo di evocazioni", p. 31), che accompagna la reticenza, è contraddetta dai movimenti del profondo, ancora una volta paragonato al mare: "Il passato ha onde di fondo che non si fermano [...]. Certe volte mi ritrovo dove sono stato. Ho un bel voler dimenticare" (p. 28).

Vita di solitudine, quella di Edoardo, che per lo meno fornisce questi connotati del suo passato: "Partivo sempre [...], per necessità [...]. E avrei voluto una vita senza partenze: calpestare sempre lo stesso suolo" (p. 29).

Anche l'amore, che potrebbe salvare, viene in parte contestato da una visita dei due amanti a un locale particolare della costa in cui i loro desideri non si corrispondono. L'ultima frase di Lisa, che conclude il testo, è un rimprovero: "Perché non mi hai fermata?" (p. 32).

Una fine sospesa che per un calviniano è pregio più che limite del testo non completato di Biamonti.


[Roberto Bertoni]