04/04/08

Stefano Seminara, IMMORTALITÀ DEI SIMBOLI DA BABILONIA A OGGI

Milano, Bompiani, 2006

I simboli del mondo sumerico e accadico si spiegano all’interno di quelle culture arcaiche, da un lato; il libro di Semerara li illustra in modo chiaro e accessibile, nella complessità di riferimenti materiali e nel contesto naturale, politico, religioso e psicologico. Dall’altro lato, e scopo principale del volume come rivela la postfazione, è dimostrare che nella società babilonese, alle origini della storia, si fondano alcuni elementi simbolici che ricorrono nel corso dei secoli, resistono tuttora seppure in forme mutate, si manifestano in atti pubblici come la costruzione dei grattacieli e in momenti quotidiani quali la consultazione dell’oroscopo. Chi scrive queste note di lettura concorda con l’autore; e ritiene che il patrimonio simbolico e archetipico non vada disperso, anzi sia da valorizzare costantemente in quanto produttore di senso, tratto di continuità col mondo arcaico, rimedio terapeutico nonché uno degli aspetti di interpretazione della realtà.

Tra i criteri sociali seguiti da Semerara c’è il fatto che la regalità, a Babilonia, si impadronì a un certo grado dello sviluppo dei simboli antichi piegandoli ai propri fini. Sul piano del linguaggio, si valorizza l’invenzione della scrittura, intesa come “spartiacque tra la preistoria e la storia anche sul piano della simbologia, perché da allora in poi i simboli, retaggio della preistoria, non poterono non confrontarsi con il nuovo sistema di segni, trasformandosi profondamente” (p. 44). Lingua e realtà si sovrappongono nel mondo assiro-accadico: si vedano i casi di omofonia, per cui oggetti di nome simile anche se distinti vengono incamerati nella medesima sfera simbolica, "così la parola, e non la realtà che la parola esprime, finisce per diventare la vera realtà” (p. 66), determinando mutamenti della realtà stessa alla stregua del mito; linguistica è poi la concezione secondo la quale “la natura e la sorte di ciascun essere umano sono [...] iscritti fin dall’alba dei tempi nel nome” (p. 65). Viene messa in evidenza inoltre la relatività arcaica della verità e la conseguente (anche moderna) apertura dei significati simbolici a interpretazioni molteplici, nelle quali “non conta quello che è vero (come sostiene Platone a proposito della differenza tra mythos e lógos), ma quello che è verosimile” (pp. 54-55).

Nella variegata esemplificazione, sempre sostenuta da riferimenti colti alle fonti sumeriche, accadiche e assire, si spazia tra il significato misterioso dei numeri attribuiti agli dèi mesopotamici; il corpo umano inteso come “un ponte gettato tra [...] il macrocosmo e il microcosmo” (p. 178); il collegamento tra terra e cielo concretizzatisi nella costruzione delle torri e nelle simbologie delle scale che mettevano in comunicazione il mondo umano e quello divino; l’anello come “elemento cosmico contrapposto al caos” (p. 162); la stretta di mano “in segno di pace” (p. 190); i significati attribuiti ad animali e creature fantastiche; il ciclo cosmico di “storia della degenerazione dello stato di perfezione iniziale e della sua restaurazione” (p. 250) col diluvio come spartiacque tra la fase più antica e quella successiva; la città mesopotamica, modalità per “compendiare simbolicamente l’immagine dell’universo” (p. 263).

Un libro competente, non pedante, affascinante.

[Roberto Bertoni]