Londra, Vermilion, 2008
La tesi di James è che nei paesi di lingua inglese si sia verificata dagli anni Settanta in poi una situazione sociale definibile come "selfish capitalism" (capitalismo egoista), consistente in quello che in Italia si è a suo tempo definito come neoliberismo, fondato su politiche economiche da giudicarsi positive per i risultati raggiunti sul medio termine anziché nel lungo periodo, per la privatizzazione dei beni e dei servizi collettivi, la regolamentazione limitata del mercato del lavoro e la concezione secondo la quale il consumo e le forze del mercato sarebbero in grado di migliorare le condizioni di vita delle persone.
In realtà questa situazione, a dispetto dell'ideologia di sviluppo e delle promesse di miglioramento per tutti insite in alcune sue versioni (soprattutto quelle reaganiana e thatcheriana), non ha portato benefici di rilievo alla maggioranza: ha anzi creato ineguaglianza tra strati ricchi e poveri, insicurezza nella ricerca e nella gestione del lavoro, diminuzione del welfare.
Parecchi dati sono riportati a conforto di questa tesi da parte di James sulla scorta di altri studi, tra i quali quelli di Harvey.
Sulla base di una certa compatibilità con le idee sull'alienazione di Fromm all'interno della società dei consumi, James ritiene che il "capitalismo egoista" abbia provocato situazioni di pena psicologica ("emotional distress"); ed è di questo che si occupa principalmente nel libro, ponendo l'accento sugli effetti collaterali negativi di una società che spinge al consumo, alla povertà delle relazioni affettive autentiche, alla vetrinizzazione sociale e di conseguenza all'insoddisfazione.
Piuttosto idealista pare l'idea che esista anche un capitalismo non egoista e che esso sia rinvenibile in paesi europei di lingua non inglese (per esempio l'Italia?). Nondimeno l'analisi, e non da ultimo la sua presentazione entro un bestseller letto da molti, è una buona cosa.
[Roberto Bertoni]