17/02/08

Derek Mahon, OCTOBER IN HYDE PARK con un commento di Mark Hutcheson


[October at the Marsh Library. (From the walls of Dublin). Foto di Marzia Poerio]


Derek Mahon, OCTOBER IN HYDE PARK

The white-washed monastery where we sat
listening to the Aegean and watched
a space capsule among the stars
will be closed now for the winter;
and the harbour bars,
cleared of the yacht crowd,
will be serving dawn ouzos to the crews
of the Aghios Ioannis and Nikolaos
where they play dominoes
by the light of a paraffin lamp.

Europe, after the first rain of winter,
shines with a corpse-light.
A cold wind scours the condemned playground;
leaves swarm like dead souls
down bleak avenues as if they led
to the kingdom of the dead.
An alcoholic defector
picks out 'Rock of Ages' with one finger
on the grand piano in his Moscow flat,
his long day's journey into night
almost complete. Some cold fate
awaits us at the end of the earth.

Like the leaves we are coming within
sight of the final river,
its son et lumière
and breath of the night sea.
As if ghosts already,
we search our pockets for the Stygian fare.


OTTOBRE A HYDE PARK

Il monastero imbiancato dove ci siamo seduti
ascoltando l'Egeo, guardando
una capsula spaziale tra le stelle,
resterà chiuso adesso che si avvicina l'inverno;
i bar del molo,
svuotati della folla dei navigatori da diporto,
serviranno ouzo all'alba alle ciurme
dell'Aghios Ioannis e dell'Aghios Nicolaos
dove si gioca a domino
alla luce di una lampada alla paraffina.

L'Europa, dopo la prima pioggia invernale,
splende di luce cadaverica.
Un vento freddo spazza il campo da gioco condannato;
foglie sciamano come anime morte
giù lungo viali tetri, quasi guidassero
verso i regni dei morti.
Un transfuga alcolizzato
strimpella il Rock of Ages con un dito
sul piano a coda del suo appartamento di Mosca,
è quasi compiuto il suo lungo viaggio diurno
dentro la notte. Un fato freddo
ci attende ai termini ultimi della terra.

Come le foglie stiamo
per avvistare l'ultimo fiume,
il suo spettacolo di son et lumière
e il respiro del mare notturno.
Come se già fossimo spettri,
ci frughiamo le tasche cercando l'obolo dello Stige.


[Traduzione di Roberto Bertoni]



Mark Hutcheson, REVISIONE DI PATMOS (OCTOBER IN HYDE PARK DI DEREK MAHON)

In luogo di un rapido sguardo a parecchie poesie di Derek Mahon, propongo qui una lettura di un’unica poesia per mettere in rilievo alcuni temi e tecniche chiave.

OCTOBER IN HYDE PARK è una lirica di ventotto versi liberi raggruppati in tre paragrafi di lunghezza dissimile [1]. Tale struttura informale è insolita per Mahon, il quale preferisce di solito strutture fisse sebbene non disdegni deviarne ove se ne presenti l’occasione [2]. In OCTOBER IN HYDE PARK imprime nondimeno il proprio marchio con rime a lui tipiche: rime vere e proprie nonché oblique, bilingui e consonantiche interne.

Mahon, la moglie e i figli seduti presso un monastero, in ascolto dell’Egeo e intenti a osservare una capsula spaziale: su questa reminiscenza di felicità perduta si apre OCTOBER IN HYDE PARK. La poesia precedente, ACHILL, descriveva il principiare dell’estraniamento di Mahon dalla sua famiglia: una ferita sanata, così ci era parso, in CRAIGVARA HOUSE [3], ma definitivamente riaperta, nel 1990, in THE YADDO LETTER [4].

La famiglia, per Mahon, è un passato come le forme verbali che adopera all’inizio di OCTOBER IN HYDE PARK; persistono la capsula spaziale e il monastero: quest’ultimo denota una cristianità esterna a Mahon, alla sua negazione del protestantesimo in cui era stato allevato. Imbiancato, il monastero rappresenta forse la purezza, una luce-guida, ma è “chiuso adesso che si avvicina l’inverno”. Nei bar del porto si trovano solo pescatori del posto: bevono ouzo all’alba e giocano a domino, i loro pescherecci sono il “San Giovanni” e il “San Nicola”.

Scena piuttosto comune, sebbene costituisca uno slittamento dalla “terra nordica di pioggia e di tenebra” [5], ma è un ambiente al quale Mahon anela [6]. Slittiamo così verso il I secolo d.C., secolo di nascita della cristianità, divenuta specchietto da allodole per i turisti o nome di imbarcazioni. Più precisamente, lo slittamento allude alla nascita di Cristo e all’autore dell’APOCALISSE.

La capsula spaziale è decisamente nel ventesimo, finanche nel ventunesimo, secolo e riconduce a MOUNT GABRIEL, dove “angeli” dell’era spaziale si fanno “intermediari tra il big bang e le anime nostre disperse” [7]. Raggiungiamo le origini cosmiche non come le vede la cristianità ma come le pensa la scienza e perciò, per via di “contrari” [8], perveniamo alla fine cosmica.

Il secondo paragrafo si dilata verso l’Europa, che splende “di luce cadaverica” e dove “foglie sciamano come anime morte [...] verso i regni dei morti”, e poi rientra nel particulare di “un transfuga alcolizzato [...] nel suo appartamento di Mosca”. Le foglie, in Mahon, già avevano rappresentato gli esseri umani che in un “paradiso” trovano un qualche “appagamento” [9]. Mahon si è autorappresentato anche in veste di spia [10]. Questo transfuga strimpella al piano, con un dito, il ROCK OF AGES, inno protestante che invoca perdono da Cristo crocifisso. La fine, pare, si approssima. Come il Claudius di HAMLET, transfuga e foglie possono pure guardare a Dio. E la speranza [11]?

Nel terzo ed ultimo paragrafo, Mahon identifica le foglie esplicitamente con “noi” - Mahon e il lettore? Mahon e il lettore e tutta l’Europa? E tutto il mondo? “Stiamo per avvistare”, dice, “l’ultimo fiume”. Ma non si danno né il Giordano, né la salvazione. La fine del secondo paragrafo ci aveva avvertito: “un freddo fato ci attende ai termini ultimi della terra”. Sentiamo “il respiro del mare notturno”. Al penultimo verso, noi non siamo più noi, né foglie: siamo “già spettri”. Al verso conclusivo, la mitologia pagana greca, fin qui passata sotto silenzio, irrompe: “frughiamo in tasca cercando l’obolo dello Stige”. I pescherecci del porto sotto il monastero hanno subito una metamorfosi, trasmutandosi nella barca di Caronte. Agiscano pure come solitamente accade famiglia, religione e scienza, ma il destino del mondo è l’Ade; sottinteso è anche che la cristianità è il mezzo di trasporto. Non un sussurro che sospenda la sentenza, non un mormorio di ulteriore resurrezione.

Così Mahon: poeta del privato e del pubblico, il cui occhio incamera atomo e cosmo, principio e fine, io e mondo. La sua sostituzione dell’escatologia cristiana con quella della Grecia antica le collega entrambe alla scienza [12], e non esiste luogo in cui, per lo meno in OCTOBER IN HYDE PARK, vi sia salvazione. È questo volo alto, da Icaro, ed anzi satanico (o miltoniano), sopra “la vita quale essa è” [13], sopra “l’esperienza vissuta sulla propria pelle” [14], volo dell’immaginazione tesa a “concepire [...] nei suoi giorni da alcione Cartagine balera per il vento” [15], che fa di Mahon un autentico, spaventevole, tempestivo poeta dell’Apocalisse, un Giovanni di Patmos segnatamente umanistico. In ciò egli occupa un posto a sé tra i poeti irlandesi.


NOTE

[1] ANTARCTICA (Dublino, Gallery Press, 1985, p. 30): si tratta della raccolta, di 27 pagine di testo, successiva a THE HUNT BY NIGHT (Oxford University Press, 1982) e di lunghezza appena inferiore alla metà di quest’ultima, che contava 55 pagine.
[2] Lo testimoniano, in ANCTARTICA, tutte le altre poesie, alcune delle quali sono caratterizzate da accentuato rigore prosodico.
[3] Ibidem, pp. 15-17.
[4] Loughcrew, Co. Meath, Gallery Press, 1992. THE YADDO LETTER: PAMPHLET, di 137 versi, è un coraggioso tour de force, rimarchevole per l’autenticità emotiva di un dolore privato affrontato in pubblico da un padre divorziato che continua a battersi per allevare i propri figli.
[5] DEATH AND THE SUN (ANTARCTICA, cit., p. 36).
[6] Cfr. in particolare la lettera in versi THE SEA IN WINTER, in POEMS 1962-1978, Oxford University Press, 1979, pp. 109-14.
[7] ANTARCTICA, cit., p. 18.
[8] “Everything thrives in contrariety - no / Thesis without antithesis [...]”, THE YADDO LETTER, cit., p. 4.
[9] Cfr. LEAVES, in POEMS 1962-1978, cit., p. 59.
[10] DEJECTION, in ANTARCTICA, cit. p. 31 (prospiciente a OCTOBER IN HYDE PARK, che si trova a p. 30), in cui conferisce a se stesso il titolo del romanzo di John Le Carré, THE SPY WHO CAME IN FROM THE COLD.
[11] “But O! what form of prayer / Can serve my turn?” (William Shakespeare, HAMLET, Atto III, scena III).
[12] Attiva fin dagli esordi, cfr. THE POETS OF THE NINETIES, in POEMS 1962-1978, cit., p. 2.
[13] THE SEA IN WINTER, in POEMS 1962-1978, cit., p. 114, ove, come in LEAVES, Mahon esprime ottimismo.
[14] THE YADDO LETTER, cit., p. 5.
[15] THE GLOBE IN NORTH CAROLINA, in THE HUNT BY NIGHT, cit., p. 62 - anche qui troviamo ottimismo -. Interessante notare che, in chiusura di questa poesia, Mahon si rivolge alla moglie con queste parole: “And what misgivings I might have / About the true importance of / The merely human pale before / The mere fact of your being there”. Andatasene lei, paiono sopraffarlo delle apprensioni.