09/01/08

Piera Mattei, RETI E ATTRAVERSAMENTI: LA CITTÀ IN POESIA (SECONDA PARTE)


[Hong Kong 2007. Foto di Marzia Poerio]


Il terzo luogo di attraversamenti è la New York di Whitman, anzi la sua Manatthan che nel 1855, quando esce la prima edizione di FOGLIE D'ERBA è ancora un'isola bella con boschi e stagni, ma soggetta a un'urbanizzazione drastica che la riduce a una scacchiera di lotti edificabili. Una città, obbiettivamente difficilissima da vivere, quasi ingovernabile, come scrivono le cronache dell'epoca. Una città composta di una maggioranza di immigrati e giovani uomini in cerca di lavoro che affrontano il quotidiano rischio di vivere. Questa città che certo ha una vita “al bordo del caos”, è anche in vertiginoso sviluppo e, per sua fortuna, ha in Whitman il suo bardo che la canta con intonazione epica e ottimista, con passione e amore.

Ancora non esistevano i monumenti simbolo della città: non era ancora arrivata in regalo dalla repubblica francese la statua della Libertà, non si costruivano ancora i grattaceli, soprattutto non esisteva la silhouette inconfondibile del ponte di Brooklyn. Per transitare dalla punta di Long Island a Manahttan c'era, al prezzo di un cent, un ferry, ogni mezz'ora.
Ecco il terzo attraversamento. Traggo alcuni stralci da SUL FERRY DI BROOKLYN, nella traduzione di Enzo Giachino:

“Folle di uomini e donne, con indosso le solite vesti, quanto strani voi mi sembrate! / Sui ferry boat centinaia e centinaia che attraversano il fiume per tornare a casa, mi sembrano più strani di quanto potete supporre [... ] Altri entreranno i cancelli del ferry per transitare da riva a riva [...] Altri vedranno le isole piccole e grandi [... ] Di qui a cent'anni, o anche a parecchie centinaia di anni, altri le vedranno [... ] Anch'io vissi, Brooklyn dalle ampie colline fu mia, / Anch'io percorsi le strade dell'isola di Manhattan, e mi tuffai nelle acque che la circondano”.

Whitman si riferisce a quella prossimità con gli estranei a cui prima accennavamo, come a una ricchezza, e ne parla con un'enfasi straordinaria. Il piacere che molti provano di sentirsi tra la folla, senza il desiderio di sapere dell'altro più di quanto i sensi non ci suggeriscano, è per lui uno dei massimi piaceri. Pensa di avvertire anche la forza delle generazioni passate e di quelle future che percorreranno quello stesso tragitto. Non immaginava certo che il ferry sarebbe stato superato non solo dal ponte ma persino da un tunnel sotto il fiume Hudson, dove migliaia di macchine ogni giorno s'incanalano, per raggiungere Manahttan. New York: una città che in un secolo e mezzo è decuplicata. Sono scomparsi gli stagni, gli uccelli, che Whitman amava ascoltare. Ha cambiato popolazione. Allora gli immigrati erano soprattutto tedeschi e irlandesi. Non era numerosa la popolazione di colore, perché ancora non era esplosa la Guerra di Secessione, non affluivano ancora gli italiani, perché l'Italia come Stato non era ancora nata. Per quanto un italiano straordinario, una sorta di genio e di libertino, il grande librettista di Mozart, Da Ponte, che aveva abbandonato infine la sua condizione di "religioso"e si era borghesemente sposato con una brava ragazza inglese, si fosse poi con lei trasferito agli inizi del secolo, proprio a New York, dove aveva dato un contributo essenziale alla nascita del mito, anche lì, del teatro d'Opera. L'Opera che Whitman tanto amava e in cui individuava una delle fonte d'ispirazione alla musicalità del suo verso.

Torniamo ormai al discorso sui dettagli minori ma non certo inessenziali di quella rete relazionale che è la cellula-città: le impronte, i segni che hanno lasciato gli scrittori e i poeti. Proponiamo un primo esempio positivo.

Trieste, una città che ha una storia breve e avventurosa per gli standard italiani e che agli inizi del secolo scorso ha avuto il suo momento di straordinaria felicità letteraria, ha voluto negli ultimi anni tre pedoni eccezionali sulle sue strade: ha posato una statua di bronzo a grandezza circa naturale sul Ponterosso (Joyce), una in Piazza Hortis (Svevo) e, di fronte alla sua libreria antiquaria, la statua di Saba. Così la Trimurti triestina vigila sui posteri e sui giovani, che non la dimentichino, che frequentino le loro figure, così come i loro libri, e sorridano con amicizia delle loro debolezze fisiche e umane (Joyce con i tondi spessissimi occhiali, Saba con la sua pipa).

Le impronte degli scrittori del passato, per la città di Roma le vado investigando quasi maniacalmente, da anni. Questa straordinaria città la amo perché vi pianto le mie radici, ma la amo anche come una che venga da fuori, riuscendo ogni giorno a meravigliarmi. Roma da sempre non lascia indifferenti. Azzarderei che la cristianità ne ha fatto il suo centro d'irradiazione quasi per esorcizzarla. Roma è proprio lei, in quel terribile libro escatologico che è l'Apocalisse, la meretrice che cavalca la bestia vermiglia dalle sette teste (i suoi sette colli) e ha in mano la coppia colma delle sue nequizie. Vero è che l'imperatore Domiziano che regnava ai tempi dell'autore dell'Apocalisse, e che con la sua politica anticristiana certamente provocava un simile spietato giudizio, non ha subito alcuna domnatio memoriae, se lo stadio che porta il suo nome, dopo mellenni, e trasformato dall'amoroso sguardo di architetti e scultori , è quella piazza Navona, dove, almeno nelle ore meno affollate, al mattino quando il sole ne fa quasi una barca e una culla della sua luce, pulsa ancora di una bellezza (quindi una spiritualità) veramente radiosa. D'altra parte, per concludere il discorso sulle città dell'Apocalisse, la Gerusalemme celeste, perfetto cubo di 2.400 chilometri di lato, incastonato di pietre preziose, dove le porte mai si chiudono perché mai scende la notte, nel suo ordine perfetto dove ogni disordine è stato eliminato, nella sua intatta simmetria, non è una città di questo mondo e prefigura la fine dei tempi, quando la vita non sarà più per nessuno quella che oggi conosciamo, la nostra dura e preziosa vita “at the edge of chaos”.

C'è ancora, sempre, a Roma in particolare, l'occasione di un primo sguardo su qualcosa che era lì, forse da secoli o che d'improvviso per un cambio di luce, una disposizione diversa della segnaletica, dell'addobbo urbano – o del mio spirito – si rivela come fosse la prima volta. Discrete ma frequenti nel centro storico sono le lapidi che ricordano i poeti e ne fioriscono di relativamente recenti, come quella per la Rosselli, in via del Corallo o per Marinetti su piazza Adriana. Nonostante sia oppressa dal calpestìo di masse dedite alla fruizione usa e getta, se le concedi tempo e curiosità di sguardo, se con capacità d'immaginazione t'interroghi su quanto un nuovo assetto urbanistico ha cancellato, questa città si popola di meravigliosi fantasmi che, basta ascoltarli, raccontano storie, sentimenti che somigliano ai tuoi, recitano rime che ti dà piacere ricordare. Così una targa in via dei Cappellari, presso Campo di Fiori e una statua in Piazza della Chiesa Nuova hanno suscitato le immagini dell'infanzia povera ma subito gloriosa e la fortuna "imperiale" del Metastasio; il nome dell'Alfieri ha fatto rivivere il Viminale quale lui l'abitò ai tempi eroici dell'amore per la Contessa d'Albany, ville romanticissime tra ruderi e boschi nei quali scatenare i suoi cavalli. Tasso, ancora accende contese sulle sue ceneri nel convento dove visse gli ultimi giorni, alle falde del Gianicolo, e vi rimangono i segni di devoti pellegrinaggi di poeti di ogni parte d'Europa. Sono andata a cercare dove ha concluso la vita quell'originale scrittore che fu il Palazzeschi, che godette lì, in via dei Redentoristi dietro il teatro Valle, del suo assolato appartamento con terrazze, proprio “come ai tempi di Semiramide”. Dentro i palpitanti libri di Ingeborg Bachmann, ho rintracciato le testimonianze del suo amore per Roma, e la sua presenza torna viva sul luogo - Via Giulia, Palazzo Sacchetti - dove fu travolta dall'ultimo tragico evento della sua vita.

Per concludere infine su Roma, c'è un'immagine di questa città che è divenuta soverchiante, soprattutto dopo l'ultimo giubileo: branchi di turisti frettolosi, strade dove i negozi artigiani chiudono per fare spazio alle pizze a taglio, nugoli di motociclette pronte a scattare ai semafori, aldilà la periferia anonima. Tuttavia credo che Roma, questa entità ancora molto ben definita che corrisponde a un nome antico, se le dedichi tempo, se decidi di abitarla anziché usarla, può veramente offrire momenti straordinari, connettendoti attraverso reti di memorie a un network palpitante di echi, rimandi, in cui finalmente l'individuo può sentirsi non in un punto qualunque della terra, ma capire quasi concretamente quale posto occupa, provare un senso di appartenenza al luogo. Che è a quanto una città dovrebbe commuovere l'intelligenza e i sensi di noi, popolazioni stanziali che nelle città celebriamo la nostra identità.

Spero di aver mostrato che una visione, in sé, astratta, della città - che prende le mosse dalla moderna teoria delle reti - si dimostra conciliabile con l'atteggiamento dei romantici: commosso riandare sulle tracce dei poeti del passato, anche se oggi è tra i gas e i rumori della città che andiamo alla ricerca d'impronte e ci proponiamo di rinnovare l'amicizia, oltre che con i libri, con le personalità dei poeti che li scrissero.

Senza questi ricordi, se queste tracce segrete o discrete che la poesia e la letteratura hanno impresso sulla città venissero ignorate da tutti o cancellate, la città forse non morirebbe ma la sua forza vitale, la sua rete identitaria ne risentirebbe gravemente, fino a risultare irriconoscibile.