21/01/07

Amitav Ghosh, THE HUNGRY TIDE





[Detail. Hindu temple, Singapore. Foto di Marzia Poerio]


New York, Harper Collins, 2004

IL PAESE DELLE MAREE
Traduzione di Anna Nadotti. Vicenza, Neri Pozza, 2005



Kanai ha vissuto un breve periodo da bambino nella zona delle paludi degli estuari del Brahmaputra e del Gange, nel Golfo del Bengala, in una zona denominata Sundarbans, un arcipelago percorso da inondazioni, infestato da tigri e coccodrilli, di grande povertà. Si trovava presso gli zii che hanno aperto una clinica a Lusibari e vissuto nell'arcipelago tutta la vita. Ritorna chiamato dalla zia Nilima per leggere il diario a lui lasciato dallo zio Nirmal deceduto, ove si racconta di una ribellione repressa nel sangue dal governo a Morichjhãpi; e vengono forniti dati sulla situazione sociale degli abitanti, sui loro miti e tradizioni (soprattutto sul culto di Bon Bibi, la forza che protegge contro il male impersonato dalla grande tigre e sulle rappresentazioni teatrali che se ne fanno e i miti che ne nascono); su una storia d'amore tra lo zio e una giovane donna, Kusum, che a lui preferì il barcaiolo Horen ed è madre di Fokir, il barcaiolo che aiuta un'indiana-americana, Piya, nella sua ricerca sui delfini gangetici nella zona, della quale Kanai s'infatua, storia che non avrà esito; Fokir muore in una tempesta salvando la vita a Piya, la quale decide di andare a vivere a Lusibari assieme a Nilima e a Moyna, la moglie di Fokir.
Si tratta di un romanzo di evidenza sociale, che restituisce da un lato la situazione concreta di una zona di durezza di condizioni ambientali, rappresentando al contempo la corruzione del governo, le solidarietà tra gli abitanti, la naturalezza della vita priva di modernità (impersonata da Fokir, dalle sue reazioni immedesimate con la jungla e i suoi ritmi), il desiderio di alfabetizzazione, emancipazione attraverso un lavoro (riscontrabile nell'infermiera Moyna), il tentativo di provvedere con mezzi indipendenti ai bisogni fondamentali (la clinica di Nilima, nata da una fondazione privata filantropica), la dimensione impegnata dell'insegnamento (la figura di Nirmal, insegnante socialista). C'è poi il contrasto tra la città (Calcutta) e la campagna più remota e irta; e più ampiamente il contrasto tra il mondo non sviluppato e il mondo occidentalizzato di Kanai (che ha una ditta di traduzione a Bombay ed esercita quindi una professione prestigiosa, retribuita a un buon livello economico, in un ambito modernizzato) o quello occidentale di Piya (che studia i delfini da naturalista e scienziata).
È narrazione anche di una presa di coscienza: Kanai scriverà la storia di Nirmal, sebbene il vento ne abbia disperso durante la tempesta, verso la fine del romanzo, il manoscritto, di cui il lettore ha frattanto letto ampi stralci; e Piya tornerà a Lusibari per fondare, con finanziamenti che è riuscita ad ottenere, una fondazione per la protezione e lo studio dei delfini. La natura è resa nel suo tratto ecologico (il lavoro di Piya e l'interesse spontaneo per i delfini di Fokir); benevolo (i paesaggi lunari soprattutto); ostile (le belve e più di tutto la tempesta). Fa da riscontro alla fisicità il mito.
È un romanzo che dà fiducia nella possibilità di scrivere con uno scopo documentario e politico chiaro, mettendo in rilievo allo stesso tempo gli strati archetipici delle culture esaminate; la quotidianità, l'amore e la sopravvivenza, senza artificiosità. Il dato di umanità pare opportuno per recuperare all'universalità la narrazione oggi nel mondo.
Sul piano tecnico si intrecciano le storie di Kanai e di Piya, alternandosi, un che sperimentalmente, e più tardi unificandosi; ad esse si affianca, esposto in corsivo, il diario di Nirmal. Si tratta di tre narrazioni che indicano le prime due una distanza spaziale all'interno dello stesso ambiente geografico; la terza una distanza temporale, con indicazione sia della differenza del periodo narrato nel diario e nel romanzo, sia della somiglianza degli avvenimenti per il loro carattere di nuclei emotivi anche atemporali: l'infatuazione di Nirmal per Kusum a di Kanai per Piya, ad esempio.

[R. Bertoni]