09/11/09

Cristina Cona, LA TRADUZIONE APOCRIFA (LA GUZLA)

Già una volta in questa rubrica ci siamo imbattuti, con OSSIAN, in un caso di traduzione inventata di sana pianta: fenomeno che qualche decennio dopo si sarebbe ripetuto, su scala minore, con la pubblicazione in Francia di un libro oggi pressoché dimenticato, LA GUZLA, OU CHOIX DE POÉSIES ILLYRIQUES, RECUEILLIES DANS LA DALMATIE, LA BOSNIE, LA CROATIE ET L’HERZÉGOVINE (1827). Si trattava di una quarantina di leggende e poemi, corredati di dotte chiose, la cui paternità veniva attribuita a vari “bardes slaves”: principale fra questi l’immaginario cantore “Hyacinthe Maglanovich”, descritto in prefazione come personaggio avventuroso e pittoresco. In realtà, dietro Maglanovich e dietro il suo anonimo traduttore, sedicente italiano avvezzo a scrivere in francese, si celava Prosper Mérimée, futuro autore di COLOMBA e di CARMEN.

A differenza del caso OSSIAN, contraffazione cui non erano estranei intenti che si potrebbero definire “politico-culturali”, di celebrazione di un patrimonio nazionale sia pure in larga parte fittizio, l’opera di Mérimée aveva fini puramente letterari. Del resto il giovane scrittore non era nuovo a questo tipo di impresa: due anni prima aveva infatti pubblicato LE THÉÂTRE DE CLARA GAZUL, una serie di bozzetti attribuiti ad una fantomatica attrice spagnola. Che “Guzla” (termine che indica uno strumento musicale in uso nell’Europa orientale) fosse l’anagramma di “Gazul” sfuggì comunque all’attenzione di tutti, finché un anno dopo l’occhio vigile di Goethe colse la mistificazione e l’inganno venne svelato al pubblico (non che il poeta tedesco serbasse troppo rancore a Mérimée per essersi preso gioco dei letterati di tutta Europa).

All’epoca però le informazioni circolavano più lentamente di adesso, e il successo di critica, se non di pubblico, de LA GUZLA (che nel frattempo era stata tradotta in diverse lingue) continuò più o meno incontrastato ancora per qualche anno. Il libro infatti era stato pubblicato in un momento in cui l’interesse del pubblico colto francese ed europeo per l’esotismo, i popoli “barbari”, la poesia popolare toccava il suo apogeo (di questa infatuazione per il “buon selvaggio” era stato del resto espressione, a suo tempo, anche l’ossianismo). Ad alimentare la moda nel corso dei decenni erano state innumerevoli traduzioni anche dalle lingue balcaniche; la poesia serba si era imposta all’attenzione delle cronache letterarie già nel 1744, quando l’abate padovano Alberto Fortis aveva pubblicato VIAGGIO IN DALMAZIA, un’indagine etnografica e naturalistica della regione che, tradotta nelle principali lingue europee, aveva suscitato vivo apprezzamento.

Fu proprio il libro di Fortis una delle principali fonti utilizzate da Mérimée, unitamente a racconti di viaggiatori, poemi di varia autenticità e statistiche pubblicate sulla regione dal Ministero degli esteri francese (la CANZONE DOLENTE DELLA NOBILE SPOSA DI ASAN AGA, traduzione di una ballata serba che in esso figurava, venne inclusa da Mérimée nella prima edizione de LA GUZLA, di cui costituì pertanto l’unico elemento non fittizio). Tutte queste letture servirono all’autore per conferire credibilità alle sue descrizioni (sebbene certe “tradizioni” da lui descritte, come il vampirismo e il malocchio, che proprio in quegli anni cominciavano ad alimentare un proficuo filone letterario, fossero sconosciute alla poesia popolare serba) e ovviare nella misura del possibile alla sua ignoranza delle lingue dalle quali fingeva di tradurre.

Prima di Mérimée, del resto, autori di diverse nazionalità avevano dato alle stampe poesie “serbe” ed “illiriche” che erano in realtà pure invenzioni; si trattava del resto di bravate non difficili da realizzare, dal momento che nell’Europa occidentale si sapeva pochissimo dei Balcani e regnava una notevole confusione anche terminologica sulle lingue parlate in questa regione. Non è sempre chiaro ad esempio che cosa intendessero letterati e critici con termini quali “lingua illirica”, che ricorrono nella letteratura dell’epoca: si trattava spesso di un modo vago e inesatto di designare il serbocroato nelle sue varie ramificazioni (nel decennio in cui era stata pubblicata LA GUZLA era apparso ad esempio a Vienna un “dizionario illirico” basato sul dialetto dei serbi bosniaci). Il termine “illirico” cominciava proprio allora ad essere utilizzato dei movimenti nazionalisti nello stesso senso in cui più tardi si parlerà di “jugoslavo”, ma in senso proprio designa una lingua indoeuropea, anticamente parlata nei Balcani ed estinta ormai da secoli, alla quale erano poi subentrati gli idiomi slavi e il cui unico discendente indiretto odierno è l’albanese.

Il fatto che tanti esordienti scrittori e poeti pubblicassero farina del proprio sacco spacciandola per traduzione può inoltre essere considerato uno stratagemma, tutto sommato abbastanza accorto, per saggiare le reazioni alla propria opera: presentandosi al pubblico sotto mentite spoglie era infatti possibile, in seguito, uscire allo scoperto in caso di recensioni incoraggianti o, viceversa, ritirarsi discretamente nell’ombra se il proprio lavoro fosse stato accolto da una stroncatura. Nel caso di Mérimée (che tenne a preservare l’anonimato al punto di celare la propria identità perfino all’editore), anche i contemporanei che si erano resi conto dell’inganno lodarono comunque il valore letterario de LA GUZLA e il talento di cui aveva dato prova il suo autore.

Fu questa la reazione non solo di Goethe, ma anche di Mickiewicz e Puskin. Il primo tradusse brani de LA GUZLA in polacco nel 1828 e, pur consapevole del tranello in cui era caduto, li ripubblicò in una sua antologia del 1844. Il secondo tradusse LA GUZLA nel 1832-33 e solo un paio d’anni più tardi scoprì la verità sul suo autore. Non soltanto non rinunciò a pubblicare l’opera in russo, ma avviò una nutrita ed amichevole corrispondenza con Mérimée che ebbe conseguenze importanti: Mérimée, imparato il russo, tradusse a sua volta Puskin, fece conoscere al pubblico francese l’opera del grande poeta e fu il primo a farsi interprete della letteratura russa nel suo paese.

Traduzione apocrifa di un poeta immaginario, LA GUZLA ebbe dunque l’effetto imprevisto di dare vita a vere traduzioni di un vero autore, uno dei più grandi del suo tempo. Il libro segnò inoltre una tappa significativa nell’evoluzione letteraria di Mérimée, orientando lo scrittore verso uno stile che, pur tendendo sempre alla ricerca dell’esotico, del misterioso e del pittoresco e pur non rifuggendo dalle fosche tinte, trovò soluzioni più sobrie ed equilibrate e non arrivò mai a riproporre le scene efferate dei suoi “poemi illirici”. In questo senso l’aveva forse vaccinato la sua esperienza di finto traduttore: con La Guzla, egli scrisse nella prefazione alla nuova edizione del 1840, “je pouvais me vanter d’avoir fait de la couleur locale; mais le procédé était si simple, si facile, que j’en vins à douter de la mérite de la couleur locale elle-même, et que je pardonnai à Racine d’avoir policé les sauvages héros de Sophocle et d’Euripide”.


Fonti:

Antonia Fonyi, LA POÉSIE ILLYRIQUE DE PROSPER MÉRIMÉE, prefazione a: Prosper Mérimée, LA GUZLA, Parigi, Éditions Kimé, 1994; AVERTISSEMENT (prefazione dell’autore all’edizione del 1840), ibidem.


[Cristina Cona]